Percorso:ANSA > Nuova Europa > Dossier e Analisi > Montecassino, luogo della storia e dell’anima

Montecassino, luogo della storia e dell’anima

Il 18 maggio 1944 i soldati polacchi conquistarono l'Abbazia

18 maggio, 10:17
Polonia celebra Anders e i 'papaveri rossi' di Montecassino Polonia celebra Anders e i 'papaveri rossi' di Montecassino

di Marco Patricelli

 

Una frase incisa sulla pietra, le note di una canzone triste: Montecassino non è un richiamo della memoria solo per il cimitero di guerra che testimonia il sacrificio dei soldati polacchi, con la lunga processione di croci cattoliche, ma anche ortodosse e pure stelle di David. Più di mille. Sulla pietra, all’ingresso, sono scolpite queste parole: «Per la nostra e la vostra libertà / Noi soldati polacchi / abbiamo dato: a Dio l’anima / alla terra d’Italia il corpo / i cuori alla Polonia». Nel Paese dell’aquila bianca tutti conoscono la melodia e le parole della canzone in cui si racconta che i papaveri rossi di Montecassino nel 1944 «invece della rugiada / bevvero sangue polacco». Il 18 maggio di quell’anno di guerra sulle rovine dell’abbazia sciaguratamente bombardata dagli Alleati, trasformata in fortezza dai paracadutisti tedeschi ed espugnata ad altissimo prezzo di vite umane e di sacrifici inenarrabili sventolava la bandiera biancorossa della Polonia. Una nazione che combatteva per riconquistare la libertà perduta sotto gli artigli dell’aquila nera nazista e dell’orso sovietico, che l’avevano smembrata nel settembre del 1939 col protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov. Ma la Polonia, sconfitta, non si era mai arresa: i suoi soldati avevano continuato a combattere “per la nostra e la vostra libertà” così come avevano fatto i loro avi in epoca napoleonica, sognando di riunificare la loro patria spartita da Austria, Russia e Prussia, partendo dall’Italia 

Montecassino è un luogo della storia e un luogo dell’anima. È un simbolo, perché qui i soldati polacchi sono stati falciati dal piombo tedesco come i papaveri al passaggio della falce, ma alla fine i militari del 12° reggimento ulani di Podolia sono riusciti a issare la loro bandiera sulle macerie tenacemente difese dai paracadutisti. Avevano infranto quella maledetta, coriacea Linea Gustav, e avevano schiuso la via di Roma agli Alleati, prima capitale dell’Asse a cadere. I polacchi del II Corpo d’armata del generale Wladyslaw Anders erano riusciti dove avevano fallito tutti gli altri contingenti. Se esistono ancora i simboli, Montecassino è sicuramente uno di essi, testimoniato dalle vie e piazze che in Polonia sono dedicate a questo lembo d’Italia. Il 18 maggio 1979 Papa Giovanni Paolo II, il polacco Karol Wojtyla, tenne un discorso all’ombra dell’abbazia che aveva tenuto accesa la fiaccola della civiltà europea nei secoli bui della barbarie. Le sue parole, oggi, hanno un significato ancora più profondo: «Il luogo sul quale ci troviamo è stato reso fertile dal sangue di tanti eroi: dinanzi alla loro morte per la grande causa della libertà e della pace siamo venuti a chinare, ancora una volta, il capo. (…) Gli abitanti di questo bel paese, l’Italia, ricordano che il soldato polacco ha portato alla loro patria la liberazione. Lo ricordano con stima e con amore. Noi sappiamo che questo soldato, per tornare in Polonia, ha percorso una strada lunga e tortuosa: “dalla terra italiana alla Polonia...” come un tempo le legioni di Dabrowski». «Marcia, marcia Dabrowski / dalla terra d’Italia / fino alla Polonia», sono i versi dell’inno nazionale polacco composto a Reggio Emilia nel 1797, nello stesso luogo, nello stesso anno e nelle stesse circostanze in cui è nato il tricolore italiano.

I soldati polacchi, in realtà, non potevano marciare verso la loro patria martoriata, assegnata di fatto a Stalin in base agli accordi di Yalta, e per molti di loro, provenienti dai territori orientali, lì non sarebbe stata più neanche Polonia. E così la libertà conquistata per gli altri non era diventava la propria libertà, un diritto che si erano conquistati sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Gli eroi di Montecassino diventeranno invece, per la propaganda comunista, i “fascisti di Anders”, i “mercenari” di inglesi e americani, i nemici ideologici da additare al disprezzo. Il generale, come migliaia di connazionali in divisa, sarà costretto all’esilio. Sia lui, sia molti suoi soldati, avevano conosciuto i gulag sovietici, e lo stesso Anders era stato torturato nelle celle della sinistra prigione Lubjanka; conoscevano sulla loro pelle chi era Stalin e cos’era il sistema che avrebbe imposto alla Polonia, con la “complicità” delle democrazie occidentali per le quali avevano combattuto.
Le ultime volontà di Anders, morto esule a Londra il 12 maggio 1970, saranno quelle di essere sepolto al fianco dei suoi soldati sepolti a Montecassino. Fino al 1989 le autorità della Polonia comunista saranno implacabili, durante le cerimonie celebrative della battaglia, nello scansare la tomba di Anders, così come a ignorare la vedova Irena Renata e la figlia Anna Maria, ritenute persino indegne di un saluto. Poi il vento della storia è cambiato. Il 18 maggio, anniversario dell’ultima e decisiva battaglia di Montecassino, è anche l’anniversario della nascita di Wojtyla, il Papa che ha catalizzato l’anelito alla libertà del suo popolo. Un simbolo che si aggiunge a un simbolo.

 

Scrittore, esperto di storia polacca,

insignito del titolo di “Bene Merito” e di Croce di ufficiale 

al merito della Repubblica di Polonia 

© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati