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Tijana Djerkovic, ingresso in Ue non è la panacea di tutti i mali

Scrittrice belgradese, autrice di 'Inclini all'amore'

07 agosto, 15:47
Tijana M. Djerkovic (Z.Anastasijevic) Tijana M. Djerkovic (Z.Anastasijevic)

di Alberto Rochira

 

(ANSA) - TRIESTE - Secondo la scrittrice e traduttrice Tijana Djerkovic, "se qualcuno non conosce e non ama le proprie radici, e dunque non ama se stesso, non può amare nessun altro e nessun altro luogo". E lei, nata a Belgrado da famiglia di origini montenegrine, che alle sue radici e ad un secolo di storia della sua famiglia ha dedicato un romanzo scritto in italiano, "Inclini all'amore" (ed. Playground), proprio per questo in Italia (dove vive e lavora da molti anni) sta davvero benissimo. "Mi sento integrata al massimo - spiega -, ma non assimilata". Si definisce "non jugo-nostalgica", ma dalla vicenda complessa e dolorosa della disintegrazione dell'ex Jugoslavia trae spunti per fare alcune riflessioni, spesso amare, sul presente della Nuova Europa e anche sul futuro dell'Unione Europea. "Unione che mi ha molto deluso - confessa -, nel suo comportamento nei confronti della Grecia. Se non è riuscita a superare certi egoismi dinnanzi alla culla della propria civiltà - si domanda Tijana -, come potrà farcela nei confronti di altri Paesi aspiranti membri, come la Serbia, ad esempio?". Djerkovic, traduttrice in serbo di Alda Merini, Giorgio Caproni, Barbara Alberti, e autrice di altri volumi, come "Il cielo sopra Belgrado", parteciperà il 7 settembre con l'ultimo libro al Festival della Letteratura di Mantova e l'8 settembre sarà chiamata, prima autrice di madrelingua serba, a inserire un termine in serbo nel "Vocabolario europeo". "La parola che ho scelto - spiega lei - è Ljudskost, che significa 'raffinata personale umanità".

 

Nel suo romanzo, il padre di Arianna Vukovic, la protagonista, non riuscì mai a comprendere fino in fondo i motivi della sua incarcerazione nel gulag di Goli Otok come nemico di Tito e filosovietico. Suo padre, invece, come visse questa terribile esperienza?

"La visse 'a posteriori' come un'assurdità di cui lui era capace di ridere fino alle lacrime. Dal punto di vista storico, è successo che un piccolo dittatore, Tito, si staccasse dal grande dittatore, Stalin, e in questo processo, giusto o sbagliato che sia, sono stati coinvolti tantissimi innocenti. Nel caso di mio padre, vi fu una delazione. Tanti altri finirono in questa 'pulizia' per motivi davvero incredibili: involontariamente ho raccolto innumerevoli storie nel corso degli anni. Naturalmente furono coinvolti anche molti che non riuscivano proprio a comprendere le motivazioni di questo cambiamento e non ce la facevano a cambiare casacca in modo veloce come accade oggi".

Perché secondo lei oggi è più facile cambiare colore politico?

"A mio avviso perché non ci sono ideali così fermi e mete da raggiungere almeno apparentemente più alte; tutto è molto più terra-terra, quindi è anche più semplice cambiare colore".

 

Anche lei, come Arianna, ha percorso un cammino di crescita e di consapevolezza rispetto alle sue radici. Che bilancio ne trae?

"Sono cresciuta in un ambiente molto moderno, dove non c'erano distinzioni di etnia, di provenienza, nel rapporto con altri. Sin da ragazzi, nella mia famiglia abbiamo avuto al fortuna di girare il mondo e siamo figli di una cultura vasta. Nella casa di mio padre, è passata gran parte della letteratura serba e della ex Jugoslavia. Mio fratello ed io siamo stati 'gettati' nei libri, e abbiamo vissuto questo non con l'idea di diventare un'élite, ma respirando la cultura con molta naturalezza e semplicità".

 

Accanto alla modernità, però, c'era la tradizione...

"Sì, certo, ho sempre avuto un legame con forte con la mia tradizione. Belgrado non la lascerò mai, anche se vivo da molti anni in Italia, e poi ancor più in profondità ci sono le mie radici montenegrine, con i loro uomini forti e le donne che li reggono. Con questi uomini, con la parte maschile e con mio fratello, ho sempre avuto un rapporto di parità e di affetto, mai di figlia o di sorella sottomessa. Il modello di mio padre, poi, è dentro di me e me lo sono sempre portato appresso, fino in Italia".

 

Come ha vissuto la disgregazione della ex Jugoslavia e come vede il futuro di quest'area?

"È stato un divorzio bruttissimo, una pagina di storia molto dolorosa, e continua ad esserlo ancora. Non sono risolti i problemi della Bosnia, e neppure quelli del Kosovo. Sono state trovate formule per dare una parvenza di tranquillità, ma nella sostanza i problemi restano. Lo dico da persona che ascolta e osserva molto. Ora si promette che con l'ingresso nell'Unione tutto andrà meglio. Ma io sono scettica".

 

Questo vale anche per il recente ingresso della Croazia?

"Auguro alla Croazia tutto il bene possibile, ma ripeto, non credo che questo passo possa risolvere tutti i problemi interni del paese. Così come non credo che le grandi questioni balcaniche possano essere risolte con l'ingresso, un giorno, della Serbia o della Bosnia".

 

Non vede altre possibili soluzioni all'orizzonte?

"La cultura e il dialogo sono essenziali e, dal mio osservatorio, vedo che c'è ancora scambio sotto il profilo culturale: del resto questo è sempre accaduto, era nello stile della ex Jugoslavia. Poi, quando si è deciso che la Jugoslavia si doveva dissolvere, la prima cosa che si è tolta di mezzo è stata proprio la cultura. Insomma anche oggi questa sarebbe il primo elemento da consolidare, ma purtroppo siamo in un mondo in cui la cultura è vista solo come un accessorio".

 

E la politica?

"La classe politica è di una mediocrità assoluta, sia in Italia, sia in Serbia. Non ci sono politici di razza. Dunque anche le soluzioni ai problemi sono mediocri: non c'è alcuna capacità di risolverli".

 

Si dichiara non jugo-nostalgica, ma come vede la ex Jugoslavia?

"La vedo come la mia terra: mi hanno insegnato ad essere jugoslava e anche il nome mi piace tanto. La Jugoslavia, che non può assolutamente tornare, è un'occasione perduta, una formula possibile per far vivere bene insieme culture e lingue diverse, ma anche molto vicine e intrecciate tra loro".

Recuperando fedeltà alle radici, si può guardare a un futuro conciliato?

"Ci vuole la coscienza di sé, ma anche tanto amore e apertura verso gli altri. Sono state fatte delle cose terribili, con moltissima violenza, dunque credo che ci sia bisogno di tanto tempo e di tanto lavoro, che ancora non vedo. Che questa sia la strada, però, lo indica persino il mercato: la stessa economia ci dimostra che siamo interdipendenti".

 

E che cosa scorge nel futuro dell'Unione europea?

"Non potrà più comportarsi come si è comportata nei confronti della crisi greca. Dovrà cercare di mettere in atto altre strategie, altrimenti significa che c'è qualcosa che non va". (ANSA).

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