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Tempo Libero

Belle speranze, i ragazzi dal '48 a oggi un filo comune attraverso il cinema

Dai Vitelloni a Gomorra l'identità dei giovani

Mostra Belle speranze © ANSA
  • di Marzia Apice
  • ROMA
  • 31 gennaio 2019
  • 21:00

 C'è un filo sottile che lega gli amici mai cresciuti de I vitelloni alle vite sbandate di Gomorra, e un alfabeto comune che fa parlare ai ragazzi cresciuti in strada di Accattone la stessa lingua dei cervelloni di Smetto quando voglio. La voglia di autoaffermazione e il desiderio di libertà di tutte le nuove generazioni che si sono avvicendate in 70 anni di storia d'Italia emergono nella mostra multimediale "Belle speranze: il cinema italiano e i giovani (1948-2018)", ideata da Fondazione Ente dello Spettacolo e in programma a Roma negli spazi del Mattatoio La Pelanda dal 30 gennaio al 15 marzo.
Frutto di un lavoro di oltre due anni e a cura di Gianluca Arnone, Maria Grazia Cazzaniga ed Emanuela Genovese, l'esposizione presenta circa 150 pannelli che, come in un lungo film dagli stili e dagli accenti diversi, delineano con l'immaginario cinefotografico l'identità dei giovani dei vari decenni, dalla fine degli anni '40 al nuovo millennio, dando ai protagonisti del grande schermo l'onore e l'onere di veicolarne i sogni, le fragilità, gli sbagli, le conquiste e le paure.
Impossibile citare tutti gli autori del nostro cinema che si rincorrono nel percorso, da Fellini a De Sica, da Antonioni a Pasolini, da Visconti a Risi e Monicelli, e poi Moretti, Giordana, Bellocchio, Archibugi, Amelio, Virzì.
Se nella prima sezione il mondo cinematografico si interseca, rappresentandoli, ai momenti salienti della nostra storia - la ricostruzione e il boom economico, gli anni '60, il '68 e gli anni di piombo, i folli anni '80 e i tristi anni '90 in cui si è pagato il conto del decennio precedente, fino alla rivoluzione digitale del 2000 -, nella seconda a prendere il sopravvento è la ricerca di Dio e di un senso della vita, con la rappresentazione filmica che propone una riflessione intima e collettiva al tempo stesso.
Girovagando tra i materiali fotografici della mostra, mentre si passa da uno scatto di scena a un libro a un articolo di giornale, a restituire al visitatore un mondo di ricordi e sensazioni che mescolano passato e presente ci pensano alcuni oggetti cult, tutti originali e selezionati ad hoc: un juke-box degli anni '50 e la mitica Vespa, un paio di jeans, un walkman, un cellulare 'vecchia maniera' e una playstation, sono letteralmente pezzi di vita che sfilano davanti agli occhi.
Infine, l'ultima parte del percorso espositivo, in cui i protagonisti sono ancora una volta i giovani, ma tutti nativi digitali: 11 studenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che per l'occasione hanno realizzato 6 video saggi (proiettati in loop) per riflettere attraverso 30 film su analogie e differenze tra la loro generazione e quella dei loro padri e dei loro nonni.
"La mostra nasce per i 50 anni del '68 e come risposta all'apertura della Chiesa con il Sinodo dei giovani, quindi da una parte per una ragione politica dall'altra per testimoniare una ricerca interiore", ha detto all'ANSA il curatore Gianluca Arnone durante la presentazione, "volevamo fare qualcosa che parlasse del nostro tempo e abbiamo raccontato le generazioni dal dopoguerra a oggi per capire chi siamo. Il criterio è quello cronologico, forse banale, ma l'unico che mette in connessione le varie trasformazioni. Quello che emerge è che sono sempre stati i giovani i motori del cambiamento". Testimonial della mostra è Pif, presente con il suo film La mafia uccide solo d'estate, che ha tenuto a sottolineare quanto "sia importante mantenere quella sana rabbia dei 20 anni. I giovani di ogni epoca sono sempre più avanti della politica. La loro realtà ci dice che l'integrazione già accade, basta guardare le scuole. Il mondo va avanti e la politica resta indietro". 

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