Gli studenti universitari, i giovani cervelli della generazione Z, stanno perdendo interesse per le carriere all’estero e sono meno disposti a lavorare in giro per il mondo. Non si tratta di bamboccioni, niente affatto. Stiamo parlando dei futuri colletti bianchi ultra specializzati che, dopo gli studi, sognano l'indipendenza e di mettere radici per conto loro ma vogliono lavori più stabili anche a costo di fare meno carriera e, possibilmente, nel loro paese.
I nati dopo il 1997, ritenuti dai loro stessi genitori e dalla generazione che li ha preceduti (la Y di un decennio fa) naturalmente disposti a girare il mondo perché cresciuti in tempi di instabilità economica a livello mondiale , a sorpresa, la pensano in modo del tutto differente.
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I ragazzi americani, cinesi ed europei, italiani inclusi, che hanno intrapreso percorsi universitari fra i più richiesti dalle multinazionali di punta, come ingegneria, business e molti altri rami scientifici, hanno uno spiccato desiderio di stabilità e sono meno disposti a vivere lontani dal proprio paese.
La fotografia degli studenti universitari di 20 paesi diversi (inclusi 40 mila italiani di 44 accademie sparse sul territorio nazionale) è inclusa nel report ‘Universum, worlds most actractive employers 2019’ di StepStone Group. Le ragioni vanno anche cercate nel cambiamento geopolitico di alcuni paesi con l’irrigidimento di alcune frontiere (come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Cina e il giro di vite sui visti) che stanno facendo ripensare i propri piani futuri ai giovani che arrivano dagli altri paesi. Ma la generazione Z ne fa anche una questione di priorità per la propria vita perché, intervistati dagli analisti, hanno risposto chiaramente che sognano local e vogliono un futuro più certo.
I cinesi studiano nel mondo ma vogliono applicare i loro skills nel proprio paese e infatti ritornano a lavorare in Cina in company meno potenti dei colossi globali e anche con stipendi più bassi. Idem gli indiani ultra specializzati nei campi dell’informatica e del business tanto che, si legge su The Economist, le multinazionali di 8 su 10 settori di punta stanno crescendo più lentamente delle società nazionali dello stesso comparto. I cervelli che ritornano danno quindi nuova linfa alle imprese locali che migliorano gli affari.
“Si assiste ad un nuovo conservatorismo dei giovani specializzati. Il sentimento di un lavoro stabile, ad esempio, è la priorità del 53% degli studenti americani smentendo la convinzione che invece siano disposti a cambiare lavoro per la carriera, - si legge nell’analisi. - E’ cresciuta l’errata convinzione che, complice la recessione degli anni passati, i giovani siano più globe-trotter ma pare non essere esattamente così e le company devono tenerne conto. La generazione Z è meno interessata alla carriera internazionali, lo erano il 32% degli studenti nel 2016, ora sono il 27%".
Dopo la globalizzazione i futuri colletti bianchi sognano lavori local, vogliono una vita che non è solo fatta di ambizioni professionali e le carriere internazionali perdono qualche punto di interesse. Le principali company del calibro di Google, Erenst & Young, Deloitte, Goldman Sachs, Apple, Microsoft, BW, IBM e Siemens (solo per citare quelle che attirano maggiormente l’attenzione dei giovani super specializzati), dovranno farci i conti rimodulando i valori aziendali mettendo più in primo piano l'elemento umano nelle ricerca del personale.
"Il capitale umano infatti sta cambiando pelle e si tratta di un particolare che potrà fare la differenza in termini di innovazione e quindi di business delle imprese in grado di coglierlo, - concludono gli analisti.