Per la Procura generale di Milano,
col sostituto pg Giuseppe De Benedetto, così come per la difesa,
Renato Vallanzasca deve passare dal carcere ad un luogo di cura,
in detenzione domiciliare, date le gravi condizioni di salute.
Nell'udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza, che deciderà
nei prossimi giorni, il magistrato, sulla base delle relazioni
mediche, ha spiegato che è "accertata la condizione di demenza"
e "c'è incompatibilità conclamata con la detenzione in carcere".
È "il momento - ha aggiunto - di modificare la condizione di
detenzione, da eseguire nella struttura assistenziale che ha
dato disponibilità".
All'udienza, aperta al pubblico su richiesta dei difensori
Corrado Limentani e Paolo Muzzi, ha partecipato anche
Vallanzasca e dietro di lui c'era un suo amico, imprenditore,
volontario e tutore legale, "un angelo custode" a detta dei
difensori, con la mano appoggiata sulla sua spalla.
La giudice Carmen D'Elia ha ripercorso le relazioni mediche,
anche del servizio di medicina penitenziaria, che hanno dato
conto in questi mesi delle condizioni dell'ex boss della banda
della Comasina e dei suoi gravi problemi cognitivi. Condizioni
che producono "paranoia, deliri notturni", "afasia" e che
l'hanno portato a cadere dal letto e ad essere ricoverato più
volte in questi mesi. "Le sue condizioni non gli fanno nemmeno
capire il senso della pena", hanno messo nero su bianco i
difensori in una delle memorie. Un neurologo del servizio di
medicina penitenziaria a fine luglio ha segnalato che le sue
"condizioni sono difficilmente compatibili col regime
carcerario", che il 74enne "ha perso completamento il controllo"
e che deve essere trasferito in una struttura assistenziale "per
malati di Alzheimer".
La difesa ha trovato "la più grande struttura veneta che si
occupa di malati di Alzheimer, legata alla Chiesa e in provincia
di Padova". C'è una "stazione dei carabinieri a cento metri e
anche i carabinieri del posto hanno dato rassicurazioni".
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