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Da Roma a Budoni La storia di Paola

Vela nel destino

Responsabilità editoriale Saily.it

"COME HO MOLLATO TUTTO, SONO SALITA IN BARCA E HO TROVATO LA FELICITA'" - Lasciare lo stress urbano, abbracciare la passione per il mare, trasformarla in professione e in veicolo di libertà a prova di lockdown. Paola Teti, 53 anni, è ormai un esempio per le donne che vogliono diventare marinaio. Ma in Italia le skipper donna sono appena l'1%

 

“Io penso che l'universo ti faccia arrivare le cose di cui ha bisogno o ciò che attrai col tuo spirito. A me ha fatto arrivare il mare. Mi è entrato dentro e mi ha donato soluzioni che altrimenti non avrei trovato”. Nell'Italia all'affannosa ricerca di una parità di genere che colmi i tanti gap dell'occupazione in rosa, c'è un settore che molto più di altri vede l'equità uomo-donna come una chimera: lo skipper o, se vogliamo evitare gli anglicismi, il marinaio. Le donne costituiscono tra l'1 e il 2% del milione e 250mila marinai imbarcanti nel mondo, rivela uno studio dell'Ufficio internazionale del lavoro. Anche nell'Italia degli 8mila chilometri di coste sono una rarità estrema: 1,2%, a fronte del 4,2% della Germania, 8,3% del Regno Unito e del 10% dei Paesi scandinavi.

L'esperienza di chi ha fatto da tempo questa scelta controcorrente ne dimostra i tanti aspetti positivi. Ai quali si aggiunge il fatto di essere praticamente immuni dagli effetti del lockdown da coronavirus. “Non l'ho proprio sentito. La mia vita è continuata come prima. Anzi, aveva in più quel brivido di essere tra i pochi privilegiati a non dover lottare per mantenere il proprio stile di vita”. Paola Teti è una delle poche marinaie italiane. Ormai un'istituzione a Porto Ottiolu, frazione marinara del Comune di Budoni, nella splendida riviera gallurese, pochi chilometri sotto Olbia. 53 anni con la saggezza di chi ha qualche decade in più ma con lo spirito e l’ottimismo contagioso di una ventenne (“Ogni giorno è una conquista. Mi addormento la sera e la mattina dopo rinasco”).

La sua vita, da quasi un quarto di secolo, ha sposato il mare sardo, tanto da aver eletto il proprio domicilio all'interno del suo bialbero svedese del 1981, ancorato nella Marina di Porto Ottiolu: “sono stata in America centrale, in Australia ma tra le tante terre che ho visistato è quella che energeticamente mi fa sentire meglio. Appena arrivi, l'acqua, le piante, le rocce, il territorio circostante ti fanno capire che lì c'è una storia millenaria. Te lo raccontano gli ulivi, i siti preistorici, le coste plasmate da onde e venti. In più, qui non c'è lo stress. Questa terra e i suoi abitanti ti donano solo vibrazioni positive. E così ti aiutano a riconnetterti con la giusta dimensione del vivere”.

Questa convinzione la trasmette, stagione dopo stagione, ai turisti che lei ospita nella sua barca. Il suo è un lavoro ma non troppo: tecnicamente si definisce noleggio occasionale. La norma, introdotta nel 2012, permette agli armatori di affittare la propria barca per non più di 40 giorni all'anno. “Quest'anno punterò soprattutto alle uscite giornaliere e alle minicrociere, perché le regole della Fase 2 permettono di ospitare solo persone dello stesso nucleo familiare”. A Paola, il noleggio serve per pagarsi da vivere e coprire il contratto del posto barca e la manutenzione. Per il resto, ha dentro di sé tutto ciò che le occorre per vivere.

Il suo viaggio interiore che l'ha fatta approdare a Budoni è iniziato negli Anni 90, quando ha lasciato Roma perché la Capitale d'Italia, che a molti suoi abitanti sembra impossibile da abbandonare, a lei andava stretta. Stress, vita frenetica, orari assurdi, smog non erano in linea con il suo spirito. Ha così iniziato una serie di viaggi in giro per il mondo. Le tante persone con cui è entrata in contatto le hanno affibbiato un soprannome: la Vagabonda. Poi, un caso della vita la porta a Budoni. Lì conosce Mario.  Aveva una barca. Il suo nome? Vagabonda. Una coincidenza troppo particolare per non interpretarla come un segno di un universo benevolo. Tra loro nasce l'amore. Mario le insegna ad andare per mare con la filosofia del marinaio e non del velista: “niente competizione ma ricerca di felicità”.

Qualche anno dopo, lo stesso destino chiede il conto. Mario muore e lascia a Paola la sua barca in eredità. Un modo diverso per poter continuare a navigare insieme, nonostante tutto. “Mario mi ha trasmesso la voglia di ricercare la felicità, che in mare si traduce nel posto ideale per buttare l'ancora e godersi la natura circostante. Quando se n'è andato, avevo paura di navigare senza di lui. Ma anche in quel caso, la vita ti fa fare le conoscenze giuste: ho incontrato amici che mi hanno dato coraggio, stimolato e aiutato ad andare avanti e migliorato il mio stile di navigazione. Perché il mare ti insegna che non finisci mai di imparare. Conta solo accumulare esperienza”.

Il suo ottimismo fa parte del bagaglio di viaggio che cerca di trasferire a chi sale sulla sua Vagabonda. E spesso quella che inizia come una minicrociera si trasforma in un'esperienza catartica, anche grazie alle bellezze che rendono la Sardegna nord-occidentale uno dei posti più amati dai turisti di tutto il mondo. “Il viaggio in mare ti aiuta a staccare la spina e a vedere le soluzioni ai tuoi problemi. Forse è il contatto con un elemento così diverso dalla terraferma ma sono convinta che aiuti a riconnetterti con il tuo intimo. In ogni caso, quando finisce ti senti ricaricato” racconta la skipper. “Certo, capita che ci siano persone troppo rigide con sé stesse che faticano a lasciarsi andare. Ma altre volte, chi non era mai salito su una barca ha provato emozioni talmente potenti da spingere a comprarsene una ( o cmq a navigare) , pochi mesi dopo. Quando mi chiamano per dirmelo, per me è una soddisfazione indicibile. È il segno che sei riuscita a trasferire l'energia positiva che c'è dentro di te”.

Responsabilità editoriale di Saily.it