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Pedote oltre Capo Horn! Emozioni e significati

Vendée Globe, Day 57: arrivederci Grande Sud

Responsabilità editoriale Saily.it

GIANCARLO PEDOTE, SORPASSO A CAPO HORN - Il navigatore fiorentino diventa il settimo italiano di sempre a girare il grande capo a Sud in solitario. Prima di lui: Ambrogio Fogar (1974), Giovanni Soldini (1994), Simone Bianchetti (2001), Pasquale De Gregorio (2001), Alessandro Di Benedetto (2010-2012) e Matteo Miceli (2015). Le loro storie e cosa dovrebbero insegnarci. Prysmian Group accelera in Atlantico: Giancarlo adesso è 9°, superati Isabelle Joschke e Boris Hermann - FOTO E VIDEO

 

di Fabio Colivicchi

Missione compiuta. Un'altra. Pensare al Vendée Globe, iscriversi, essere pronto al via, partire, girare Capo di Buona Speranza, superare Capo Leeuwin, passare indenne il Grande Sud dei 40 e 50 incazzati. E in una notte australe, nel bel mezzo di una tempestina da 40 nodi, mettere in scia anche il pauroso Capo Horn. Pauroso e mitico, leggendario. Cimitero di navi da sempre. Richiamo a superare i limiti, sfidare l'estremo. Il luogo perfetto per raccontare una propria storia, dire al mondo chi si vuole essere, e perchè sperare, sognare, non arrendersi e spingersi oltre è sempre il modo migliore per esistere.

SU SAILY TV IN ARRIVO SOLO #8: PASQUALE DE GREGORIO E MATTEO MICELI RACCONTANO CAPO HORN

Non è mai troppo il significato da attribuire a una impresa così: navigare su mari inospitali all'inverosimile e aggirare la punta della terra emersa più meridionale del pianeta, lungo un tratto di mare fatto apposta per trattarti male e respingerti. Gli abissi degli oceani che d'improvviso s'innalzano nella piattaforma continentale del continente americano. Onde impazzite, felici e furiose perchè anch'esse al culmine di un viaggio continuo, spinte schiumosamente da un flusso di vento da Ovest già robusto, e ingigantito dalla potenza dei treni di depressioni.

Quella leggenda dei mari da oggi scrive un altro italiano tra coloro che l'hanno vissuta e superata, affrontandola nella più intima delle battaglie: da soli. Velisti in solitario a Capo Horn. Ne contano ufficiosamente circa 150 i tentativi di tenere un ipotetico registro. Di questi, la stragrande maggioranza, oltre i tre quarti, sono francesi. Al secondo posto (26) gli inglesi, al terzo (8) l'Australia. L'Italia è al quarto posto assoluto con 7 nomi e cognomi, storie e memorie.

L'ultima aggiunta è proprio Giancarlo Pedote, che dopo 57 giorni, 11 ore e 52 minuti di Vendée Globe 20-21, con Prysmian Group ha doppiato il Capo Horn alle ore 1.12 UTC, in condizioni particolarmente toste, con velatura ridotta, ma in splendida forma, con addosso - skipper e barca - come una voglia esplosa di risalire a Nord, riguadagnare la superficie, le certezze del confronto sportivo oltre che con la natura infinita. Atlantico a noi due, sembra dire Pedote e la sua Prysmian lo asseconda, con un giro stretto del Capo che gli fa guadagnare di slancio due posizioni, superando anche Boris Hermann (randa strappata) e lanciandosi all'inseguimento di chi lo precede, in una risalita che sarà piena di colpi di scena già nelle prossime 48 ore.

La palla planetaria come un campo da gioco che suscita emozioni: possibile che non si capisca, in tanti, quaggiù in Italia, di quante promesse ci sono nella vela oceanica, quanti contenuti e possibilità da sviluppare?

GIANCARLO E IL SETTIMO SIGILLO: ECCO I 6 PRIMA DI LUI - Prima del fiorentino, Capo Horn era stato conquistato in solitario (in equipaggio il discorso cambia e si allarga, ce ne sono parecchi di più, in regata e per diporto, e un giorno parleremo anche di loro) da altri sei velisti italiani. Nomi tutti ricchi di storie, ricordi, significati. Nel 1974 Ambrogio Fogar, l'avventuriero milanese, con il Surprise, 11 metri di legno, da Est a Ovest, in un giro del mondo lungo e innovativo, una assoluta primizia per l'Italia che con lui ha scoperto il concetto stesso di circumnavigazione dai tempi dei grandi navigatori del passato. Un giro reso controverso da un libro, eppure capace di essere una scintilla, un detonatore straordinario, fonte di ispirazione per migliaia di giovani.

Non a caso il secondo a passare Capo Horn è il nostro velista oceanico più famoso al mondo, Giovanni Soldini (1994), vent'anni dopo con il 50 piedi Stupefacente Kodak, autocostruito in una comunità di recupero, durante il suo primo BOC Challenge, giro del mondo a tappe. Soldini passerà il Capo altre due volte: nel 1998 la più famosa, durante il secondo BOC, ma con a bordo Isabelle Autissier dopo il funambolico recupero della velista francese dalla sua barca naufragata. E la terza in equipaggio, nel 2012, con Maserati VOR70 nel record (battuto) New York-San Francisco, quindi da Est a Ovest.

Il terzo è Simone Bianchetti, con l'Imoca Aquerelle.com, nel Vendée Globe del 2001. Il compianto Simone, romagna e oceani, capitano di lungo corso e di vita creativa e mangiata a morsi, capace di realizzare l'irrealizzabile per i suoi tempi e mezzi: Mini Transat, Figaro, Route du Rhum e Vendée. Cos' come la Transat del Sables attraverso il Sahara. Non è rimasto inghiottito nelle sabbie del deserto, ma preso alla sprovvista da un malore a bordo in una notte savonese. Molti hanno almeno un suo quadro. Tutti hanno almeno un ricordo prezioso della sua carica.

Nello stesso VG del 2001 Capo Horn è stato vinto da Pasquale De Gregorio, 58 anni, il più anziano in gara in quella edizione, un giro  caparbiamente inseguito dall'ex avvocato della Banca d'Italia, prepensionatosi per la scelta di fare il navigatore. Si costruisce da solo un 50 piedi, trova uno sponsor dal nome adatto, Wind, e decine di amici e appassionati che acquistano carati della sua barca per consentirgli di essere al via. Tra avarie in serie e due terzi della regata fatti con tre mani di terzaroli alla randa a causa di una sartia rotta, conclude il Vendée in 158 giorni, arriva ultimo acclamato da 20mila persone a Les Sables d'Olonne. Eppure in Italia, a parte i velisti-velisti, lo conoscono in pochi. Un esempio di forza e cultura marinara, non abbastanza valorizzato per quanto avrebbe potuto dare (e puo' ancora).

Passano quasi dieci anni e tocca ad Alessandro Di Benedetto, che passa Capo Horn nel 2010 con un barchino invisibile, quasi improponibile per quei mari e quel giro: fa Les Sables-Les Sables, con tutti i tre grandi capi, con un Mini 650 da lui modificato in garage per renderlo un modulo inaffondabile, rompe l'albero nel Pacifico, lo rimette alla meno peggio e completa il giro, Horn compreso, in 268 giorni. E' il record per la circumnavigazione con la barca più piccola. Una impresa che entusiasma i francesi, che lo acclamano come uno di loro (ha la mamma transalpina). Neanche a dirlo: l'Italia, salvo poche eccezioni, non capisce l'enormità di ciò cha ha fatto questo velista schivo, che ha iniziato adolescente a fare traversate pazze con il papà su derive e catamarani da spiaggia, ed è diventato un maestro degli oceani. Due anni dopo Di Benedetto ripassa Capo Horn durante il Vendée 2012-2013, con Team Plastique un Imoca d'epoca col quale arriva 11° e ultimo in 104 giorni, ma vince per la capacità di raccontare e comunicare. Oggi Alessandro vive e lavora in Francia collaborando con vari team di yachting oceanico, ed è particolarmente riservato rispetto all'Italia. Come dargli torto?

Nel 2015 il sesto italiano di sempre a passare Capo Horn in solitario è il romano Matteo Miceli, partito da Riva di Traiano con il suo Class 40 Eco40, autocostruito, autosufficiente, con orto a prua e due galline a bordo, latore di un messaggio sulla sostenibilità. Comunica, Matteo, col suo faccione e la sua parlata calda, racconta ogni stilla del giro, passa Doldrums, Buona Speranza, Leeuwin, Indiano, Pacifico, Capo Horn, è al settimo cielo. Solo a 2000 miglia dal ritorno a casa, verso l'Equatore, la chiglia si stacca e il suo giro termina anzitempo, aprendo però la nota pagina di un rocambolesco e quasi parapsicologico ritrovamento dello scafo abbandonato di Eco40, del suo recupero, del restauro. Oggi quella barca che ha tante anime naviga ancora.

Tutto questo prima di Giancarlo Pedote, che il 5 gennaio 2021 a bordo di un Imoca con i foil ha messo il settimo sigillo italiano a Capo Horn, Terra del Fuoco. Quel fuoco che hanno dentro i marinai, che ci racconta qualcosa che dobbiamo imparare ad ascoltare e fare nostra.

SU SAILY TV IN ARRIVO SOLO #8: PASQUALE DE GREGORIO E MATTEO MICELI RACCONTANO CAPO HORN

PRYSMIAN GROUP A CAPO HORN

MORFOLOGIA DI CAPO HORN - (Christophe Julliand) E’ una vera e propria icona della storia marittima mondiale, il Capo duro, quello delle tempeste, Cape Horn, l’estremità australe del continente sud americano posizionato per 55° 58’ 48” di latitudine  S e 67°17’ 21” W di longitudine. Oltre alla posizione molto bassa in latitudine, nel pieno dei Cinquanta Urlanti, la difficoltà dello Stretto tra penisola Antartide e Terra del Fuoco (largo 440 miglia) che i geografi hanno chiamato Passaggio di Drake in memoria del famoso navigatore britannico, non nasce solo dall’incontro di due oceani, il Pacifico e l’Atlantico.

Molti atri fattori aumentano la pericolosità di questa zona: c’è la morfologia del continente sud americano e la sua cordigliera delle Ande che con le sue cime alte oltre 3000 metri. Patagonia influenza la circolazione dei fenomeni atmosferici e costringe le depressioni a incanalizzarsi nello stretto. C' é poi la risalita dei fondali sottomarini: si passa dalle pianure abissali dell’Oceano Pacifico a 2000 metri e oltre di profondità a quella che viene chiamata piattaforma continentale, cioè tra i 200 e 400 metri di profondità. Un fattore questo che contribuisce ad abbassare il periodo tra un onda e l’altra e ad alzare onde piramidali pericolissime… Eppure è proprio grazie a questa casualità geografica, l’esistenza stessa di un passaggio marittimo tra Sud America e Antartide che il giro del mondo in barca è possibile.

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