Obama non molla, faro' sentire mia voce

Redazione ANSA

Chi sara' Barack Obama post Casa Bianca? "Un cittadino americano che ha profondamente a cuore il suo paese", è la sua risposta. Il presidente che fra 60 giorni lascera' lo Studio Ovale al suo successore Donald Trump sembra voler rompere con la tradizione, almeno quella piu' recente, e non rinunciare -pur nel rispetto del ruolo e senza dichiararsi inflessibile critico di Trump- al diritto di far sentire la sua voce se vedrà che i suoi ideali sono in pericolo. Lo ha detto nelle scorse ore in una conferenza stampa a Lima per il vertice Apec, la quarta in una settimana. In ciascuna Obama ha risposto a domande sull'esito del voto in Usa con posato equilibrio e rispetto assoluto del suo ruolo istituzionale. Lo ha ripetuto anche questa volta, sottolineando di voler "essere rispettoso della carica e dare al presidente eletto l'opportunità di esporre la sua piattaforma e le sue idee senza avere qualcuno che salta su", aggiungendo pero' che se qualche questione "andrà a toccare punti centrali dei nostri valori e dei nostri ideali e se penserò che sia necessario o di aiuto difendere questi ideali allora lo prenderò in considerazione quando si presenterà il momento". E' la strenua difesa della sua eredita' (da parte del presidente che eccezionalmente restera' temporaneamente a Washington dopo il suo mandato per consentire alla figlia minore di concludere il ciclo scolastico) ma e' un messaggio volto anche a rassicurare e spronare al tempo stesso quel popolo democratico lasciato senza leadership dopo la debacle dell'8 novembre. Obama lo invita a guardare al futuro allargando lo sguardo, a ripartire non sottovalutando il voto popolare che ha dato ragione a Hillary Clinton ma costruendo su questo, rivedendo il messaggio, tornando a battere il territorio. Eppure e' la stessa 'cura' della base e della visione 'di partito' che in parecchi hanno imputato proprio ad Obama di aver trascurato. Adesso lui puo' fare da mentore, offrire monitoraggio e voce autorevole con il favore dell'ancora alto tasso di gradimento, ma poco piu'. Il 'ricambio' deve essere costruito altrove e c'e' chi parla a chiare lettere di una 'questione generazionale'. Emblematica e' cosi' la sfida lanciata in questi giorni dal 43enne deputato dell'Ohio Tim Ryan per il posto della 'storica' leader della minoranza Nancy Pelosi, ancora molto apprezzata e con capacita' politiche indubbie ma attorno alla quale ruota inevitabilmente la riflessione che si apre adesso. Mentre torna anche un altro nome, 'distante' da Washington almeno fino ad ora: il governatore di New York Andrew Cuomo di cui si parla come uno dei possibili candidati democratici nella corsa alla Casa Bianca 2020. Oggi, da governatore, si pone come 'argine' e contrappeso a certe battaglie paventate nella campagna elettorale di Donald Trump e in risposta a una recrudescenza di episodi di vandalismo e reati a sfondo razziale, ha lanciato una pacchetto di iniziative a protezione dei diritti civili degli abitanti del suo Stato. "L'orrore della campagna elettorale non e' finito con l'Election Day", ha detto Cuomo: "In molti versi e' peggiorato, trasformandosi in una crisi sociale che sta mettendo alla prova la nostra identità come stato e come nazione".

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