Trump all'attacco, via subito 3 milioni di clandestini

Redazione ANSA

Donald Trump conferma la linea dura sugli immigrati irregolari mentre non accenna a placarsi l'ondata di proteste contro la sua elezione alla Casa Bianca. Altre marce sotto lo slogan 'Not my president' si sono svolte oggi per il quinto giorno consecutivo dopo quelle che hanno percorso ieri l'America metropolitana, da New York a Los Angeles, con una ventina di arresti a Portland ed altri sette a Las Vegas. A far aumentare la tensione potrebbe essere l'intenzione del presidente eletto di fare un 'tour della vittoria' negli Stati che lo hanno eletto, come ha ventilato il suo staff, che sta già lavorando al programma. Ma anche il suo impegno a costruire il muro al confine col Messico e ad espellere subito due-tre milioni di clandestini con precedenti penali, come ha ribadito in un'intervista a 'Sixty minutes', popolare trasmissione della Csb. Dichiarazioni forti, ma che per alcuni potrebbero anche celare un possibile compromesso. Il tycoon ha infatti precisato che in alcune aree non ci sarà muro ma recinzione, come proposto al Congresso dai Repubblicani, che stanno cercando una mediazione su vari temi. E se promette di usare il pugno di ferro con 2-3 milioni di clandestini dalla fedina penale sporca, espellendo o incarcerando "i membri delle gang e i trafficanti di droga", Trump si riserva di prendere una decisione sugli altri irregolari, che sono la maggioranza (circa dieci milioni), solo dopo aver messo in sicurezza la frontiera. Ma sono distinzioni che poco contano agli occhi dei manifestanti, convinti che le politiche del neo presidente mineranno i diritti civili, in particolare quelli delle minoranze etniche, sessuali e religiose, metteranno a rischio il sistema sanitario e ignoreranno i cambiamenti climatici. Gli episodi di intimidazione e intolleranza si stanno moltiplicando nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, come se l'elezione di Trump avesse sdoganato un odio a lungo latente nella società. L'organizzazione americana per la difesa dei diritti civili ha già registrato sul suo sito oltre 200 incidenti a carattere razzista dopo il voto. Lo speaker della Camera, Paul Ryan, ha cercato di gettare acqua sul fuoco, condannando gli autori dei graffiti e delle aggressioni razziste ("non sono repubblicani, non li vogliamo nel nostro partito"). Ma il Paese resta profondamente diviso e la maggioranza degli elettori democratici (circa 60 milioni in tutto), secondo alcuni sondaggi, si rifiuta di riconoscere la vittoria di Trump, aggrappandosi anche al fatto che Hillary Clinton lo ha superato nel voto popolare. Mai l'America si era trovata di fronte ad un presidente così contestato. Per rintracciare precedenti di analoghe proteste su larga scala gli storici si sono spinti sino all'elezione nel 1860 di Abraham Lincoln, che ottenne solo il 40% circa del voto popolare e non era neanche nelle schede in alcuni Stati del Sud. La manifestazione più imponente si è svolta ieri a New York, sino alla Trump Tower, dove il tycoon è rimasto asserragliato nel weekend pianificando le prossime mosse ma trovando il tempo di ricevere Nigel Farage, leader del partito eurofobico Ukip. Le altre grandi città che guidano la protesta sono Los Angeles e Chicago, ma cortei pacifici hanno invaso anche altre località di periferia. Portland resta il teatro più a rischio: anche ieri sera, nonostante gli appelli del sindaco alla calma, ci sono stati scontri con la polizia, che ha arrestato una ventina di persone. Gli organizzatori delle marce promettono di proseguire ad oltranza, almeno sino all'insediamento di Trump, il 20 gennaio. Anzi, sino al giorno dopo, quando a Washington è prevista una 'marcia delle donne'. Ma il movimento sta promuovendo anche altre forme di resistenza: spille da balia da indossare come segno di solidarietà verso le minoranze, post-it colorati nella metro di Ny su proposta dell'artista Matthew Chavez, iniziative legali per sfidare il Congresso a maggioranza repubblicana e i tribunali su eventuali politiche che ledano i diritti civili.

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