(di Paolo Petroni)
Il professor Aschenbach, protagonista
di ''Morte a Venezia'' di Thomas Mann, cui questo spettacolo di
Liv Ferracchiati e Alice Raffaeli che ha debuttato al Festival
di Spoleto rimanda sin dal titolo, vede sgretolarsi le proprie
certezze, la propria capacità di autocontrollo, osservando il
bellissimo e biondissimo adolescente polacco Tadzio sulla
spiaggia del Lido. Un rapporto tutto fatto solo attraverso la
vista e qualche gesto, mai verbale e sapendo, come lo stesso
Mann annota, che 'nulla esiste di più singolare e scabroso che
il rapporto tra persone che si conoscono solo attraverso lo
sguardo''.
Ecco allora l'eleganza, la fisicità di una donna in scena che
si muove e danza e l'occhio di una videocamera che la segue e ne
proietta l'immagine su un grande schermo, con lei che guarda
intensa, fissa in camera e la sua immagine che guarda dritta gli
spettatori, coinvolti nel gioco di sguardi visto che all'inizio
anche loro compaiono sullo schermo come in uno specchio. E
questo gioco, questa rappresentazione silenziosa, che giungerà
alla coscienza dell'indicibilità dell'assoluto della grazia e
della bellezza, a sottolineare l'importanza del non detto
rispetto al detto, è in realtà verbalissima, con Ferracchiati
che, dietro la macchina e poi quando la lascia e avanza sulla
scena, dà voce a Mann e a Ascenbach per tutta la durata dello
spettacolo, rivolgendosi all'oggetto del suo desiderio ora al
maschile, ora al femminile, come a voler ampliare e rendere più
generale il dionisiaco rapporto di seduzione. Con momenti anche
pop, se si intonano i versi ''all'improvviso sei arriva to tu,
mi hai guardato, e allora tutto è cambiato'' di ''Mi sei
scoppiato dentro il cuore'' di Mina.
Scabroso, turbamento, sgomento e meraviglia sono le parole
che più vengono ripetute in partenza e il cui senso deve
condurci sino al finale autodistruttivo, alla morte del
professore sulla spiaggia, vicino al treppiedi di una macchina
fotografica col suo emblematico panno nero svolazzante, come ci
ricorda il racconto di Ferracchiati, mentre il viso della
Raffaeli sempre più si tinge di drammatico e arriva a
rappresentare l'urlo di Munch.
Tutto un difficile gioco di insistenza quindi, di visione
quasi concettuale, eppure forte della fisicità della Raffaeli,
di un corpo elegantemente disarticolato che si esibisce e si
richiude, che pare astratto e poi mima il caldo sino a mettere
in azione anche i lunghi capelli, con l'apparizione di una
poltrona da barbiere (come del resto nel racconto di Mann) per
il finale con Ferracchiati-Aschenbach che vorrebbe farsi più
bello e giovane e si muta invece in una sorta di tragico
Pierrot, dal volto coperto di biacca su cui cala una lunga
lacrima blu. E' la lacrima che secondo Josif Brodsky spunta per
l'incapacità dell'occhio di trattenere la bellezza, come
enunciato nelle parole del poeta russo proiettate a esergo dello
spettacolo. E' l'incapacità e, di conseguenza, l'indicibilità
che lo porterà alla morte, in una Venezia dove è scoppiata
un'epidemia di colera e il professore si contagia facendosi
sedurre dalla fragranza delle fragole, frutti rossi che sono
ammucchiati dall'inizio in un angolo a ricordaci il finale e la
loro ambiguità pericolosa.
''Morte a Venezia'' è nato, ci viene detto, anche da un
lavoro intenso di equipe, con Eliana Rotella (assistente alla
drammaturgia), Michele De Vita (dramaturg) e i suoni e gli
sciabordii di Spallarossa (Giacomo Agnifili) pare costruiti come
in un film a spettacolo montato nello spazio scenico di Giuseppe
Stellato. A Spoleto si replica sino a domani, poi il lavoro,
prodotto da Marche Teatro, Stabile dell'Umbria, Teatro di
Napoli-Bellini in collaborazione col Piccolo di Milano, sarà ad
Ancona a metà novembre, al 1 dicembre a Napoli e dal 10 al 15 al
Gobetti di Torino, poi a gennaio, dal 16 al18 al Morlacchi di
Perugia, dal 5 al 9 febbraio all'India a Roma e infine il dal 15
al 25 maggio a Teatro Studio di Milano.
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