Non hanno mai smesso di cantare e ondeggiare sincronizzate sugli spalti al ritmo della musica le cheerleader mandate al Sud dal regime di Kim Jong-un. In mano una bandiera che ha esordito ai Giochi invernali di PyeongChang, una Penisola azzurra su sfondo bianco, unica e senza confini spinati: mentre sulla pista ghiacciata del Kwandong Center, a Gangneung sulla costa, andava in scena un'altra pagina di storia. La squadra di hockey femminile delle Coree unite, una faccia una razza, ha fatto il suo debutto, ha perso 8-0 con la Svizzera ma questo conta poco, o forse niente. Perché dopo la stretta di mano in mondovisione che ha riaperto un capitolo chiuso settanta anni fa, la Corea si è risvegliata con la speranza che i passi verso una riappacificazione vera non tornino indietro dopo la fine dei Giochi.
Certo è che in due giorni Seul ha vissuto una piccola grande rivoluzione: Kim Yo-jong, giovane sorella del leader del Nord, dopo incontro e pranzo nella Cheong Wa Dae, la Casa blu residenza del presidente sudcoreano Moon Jae-in, si è trasferita allo stadio dell'hockey per assistere alla prima partita del team unito delle ragazze coreane. In tribuna al suo fianco anche il novantenne Kim Young-nam, capo delegazione dei coreani oltre il 38/o parallelo, lo stesso presidente Moon e il numero uno del Cio, Thomas Bach. Intorno spalti gremiti, perché per questa gara i 6000 biglietti erano già andati esauriti, e macchie di rosso a occupare interi settori. L'altra Corea, quella delle cheerleader venute dal Nord, la cui performance ha convinto di più di quella delle hockeiste in un match del resto segnato in avvio, e poi tutto a senso unico per le svizzere. La carica delle ventenni in tenuta rosso fuoco è stata grande protagonista, occupando ogni angolo del palazzetto. L'accoglienza del pubblico cordiale, con grande entusiasmo durante le coreografie al grido di 'Korea'.