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'Effetto Weinstein' anche in Silicon Valley

Dopo caso Uber sempre più denunce di molestie e discriminazioni

ROMA - Molestie, discriminazione, ricatti. Anche la Silicon Valley non è da meno dello show-business. Nel corso degli anni si sono accumulati casi di donne che hanno subito determinati atteggiamenti dal gotha dell'hi-tech. L'ultimo, che ha portato ad una epurazione dei vertici di Uber, ha aperto un vaso di Pandora che si è poi esteso. Il 'j'accuse' ha trovato eco sulle pagine del New York Times che ha raccolto le testimonianze di una trentina di giovani imprenditrici. Diversi colossi hi-tech stanno correndo ai ripari impegnandosi a diversificare la forza lavoro, ma la strada da percorrere sembra lunga considerato l'esiguo numero di quote rosa ai vertici.

Alcuni casi isolati nel mondo tecnologico avevano fatto scalpore qualche anno fa. Come quello di Ellen Pao che nel 2015 aveva portato in tribunale il suo allora datore di lavoro per discriminazione e abusi, della società di investimento Kleiner, Perkins, Caulfield & Byers. L'anno precedente, Geshe Haas, imprenditrice, ha respinto e riportato le avance sempre di un investitore, Pavel Cudra, che si e' poi scusato. A provocare una vera e propria tempesta è stato il caso esploso in Uber qualche mese fa. Susan Fowler, ex ingegnere della società ha puntato il dito contro avances sessuali ma anche "pressioni e demansionamenti", dentro un'azienda "nel caos dove le donne sono costrette alla fuga". Un gesto che ha portato al licenziamento di venti dirigenti e in ultimo alle dimissioni del fondatore Travis Kalanick.

Il caso ha rappresentato un'iniezione di fiducia per tutte le altre donne. Il New York Times ha raccolto le testimonianze di una trentina di giovani imprenditrici dell'hi-tech. Dieci di loro hanno accettato di fare nomi e cognomi degli investitori sotto accusa, rompendo un muro di silenzio e paura. Tra i nomi tirati in ballo anche Chris Sacca di Lowercase Capital, ex dirigente di Google. La spirale di denunce è stata tale che Reid Hoffman, co-fondatore di LinkedIn, ha proposto che gli investitori hi-tech d'ora in avanti debbano firmare un 'decency pladge', un impegno alla decenza. In Google, invece, un gruppo di dipendenti si fa portavoce di una class action sulle differenze salariali tra sessi. Nella stessa azienda è pure scoppiato il caso di un ingegnere, poi licenziato, che in una nota aveva scritto che le donne sono biologicamente inadatte a rivestire incarichi tecnologici.

Le donne nella Silicon Valley continuano ad essere poco rappresentate, nonostante casi come la n. 2 di Facebook Sheryl Sandberg, da tempo impegnata sulla parità di genere, autrice del libro 'Lean in', 'Fatevi avanti'. Dai vari report delle aziende sulla diversità della forza lavoro emerge infatti che le donne si attestano intorno al 30%, percentuale che scende per le posizioni apicali. Stesso svantaggio negli investimenti: l'anno scorso le start-up avviate dagli uomini hanno rastrellato 58,2 miliardi di dollari contro gli 1,5 miliardi raccolti da aziende fondate da donne. 

 

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