Alfredo Vignoli, bolognese, il 21
luglio 1934 vinse la sedicesima tappa del Tour de France, che si
concluse a Luchon. Un trofeo intitolato a lui sarà consegnato 90
anni dopo da Davide Gubellini e Stefano Zammartini, presidenti
di due associazioni, Unvs e Anaoai, Veterani e Azzurri d'Italia,
al primo italiano classificato nella tappa di domenica prossima,
30 giugno, che si concluderà proprio a Bologna, nell'anno della
storica partenza italiana della Grande Boucle.
Vignoli era figlio di un ciclismo glorioso, polveroso,
massacrante, quello degli anni Trenta. Nato nel dicembre del
1907 nel comune di Pradure e Sasso (che solo nel 1935 venne
denominato Sasso Marconi, in onore dell'inventore italiano)
faceva il muratore. Scoprì la vocazione nel 1931, all'età di 24
anni. Non era un campione, ma un ciclista eccellente, abbonato a
piazzamenti di prestigio nelle classiche e nelle gare più
importanti. Scalatore, onesto e leale con i suoi capitani, fu
conteso come gregario di lusso dai campioni dell'epoca: Learco
Guerra e Alfredo Binda, vincitore di cinque Giri d'Italia.
Divenne professionista nel 1933 e l'anno dopo visse la sua
stagione d'oro, quando si iscrisse al Giro d'Italia da
'isolato', non potendo contare su una squadra. Vinse la tappa
Napoli-Bari, arrivando solitario al traguardo dopo una fuga di
160 chilometri con 11 minuti di vantaggio sul secondo e concluse
la corsa, vinta da Guerra, all'ottavo posto in classifica. Si
guadagnò così la convocazione al Tour, dove partecipavano le
squadre nazionali e dopo una serie di piazzamenti arrivò la
vittoria: scappò in salita, nonostante una caduta che gli aveva
procurato una ferita all'avambraccio sinistro e una crisi
intestinale, trionfando sui Pirenei.
Conclusa la carriera, si è dedicato all'officina di
biciclette aperta a Casalecchio di Reno dal 1935. Morto a 89
anni, nel 1996, Alfredo rivive oggi nel mito di quella grande
vittoria, dei sette Giri d'Italia e dei sette Tour corsi.
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