"Il tunnel è simile a una tomba, sembrava di essere sepolti vivi". Amit Soussana è una giovane avvocato di Kfar Aza, uno dei kibbutz più martoriati dall'attacco di Hamas. Lì, dove viveva, è stata rapita il 7 ottobre ed è rimasta a Gaza nelle mani dei terroristi per 55 giorni prima di essere liberata. "Siamo stati tenuti in condizioni disumane. Nessuna persona - racconta con voce flebile ai media, per la prima volta dal rilascio - dovrebbe mai essere sottoposta a un trattamento così brutale e spietato".
Amit, così tutti la chiamano, parla di fronte ai resti della casa che ha abitato fino a quel giorno nel cosiddetto 'Quartiere dei giovani adulti' del kibbutz, una sfilza di piccole strutture in cemento e un giardinetto. Lo scenario delle case tutto attorno è spettrale: mobili, elettrodomestici, oggetti di vita quotidiana gettati alla rinfusa, materassi ancora macchiati di sangue, pareti e gazebo carbonizzati, decine e decine di fori di proiettili nei muri e anche bossoli. Su quel che resta degli edifici, parenti e amici hanno messo, come ricordo, le foto di chi vi abitava: volti di giovani ragazzi un tempo sorridenti, ora uccisi o rapiti. E la frase che oramai rimbomba in tutto Israele. "Riportateli a casa". A poca distanza da dove parla Amit, campi coltivati dividono Israele da Gaza: dall'altra parte, nella Striscia, si intravedono Beit Lahia o Jabalya. Una doppia recinzione sorge attorno a Kfar Aza ma il 7 ottobre non è servita a proteggere il kibbutz preso d'assalto all'alba da oltre 70 miliziani di Hamas, armati pesantemente. L'eccidio è stato terribile: 74 gli israeliani uccisi, 19 i rapiti di cui 6 ancora nella Striscia, 11 i liberati e tra questi Amit. Due invece quelli morti in cattività: Alon Shamriz e Yotam Haim, entrambi uccisi per errore dall'esercito a Gaza. Il volto gioviale e i capelli rossi di Yotam risaltano sul poster appeso sulla sua ex casa, ridotta ora ad un ammasso carbonizzato. Amit Soussana ha detto di aver tentato di nascondersi nell'armadio, ma invano. In molti come lei sono stati strappati via dai luoghi o dalle stanza rifugio con le granate lanciate da Hamas contro i muri o appiccando l'incendio alla casa. Amit - ha raccontato - si è difesa disperatamente. "Ho continuato a resistere finché alla fine - ha spiegato - mi hanno legato braccia e gambe trascinandomi via. C'è voluta più di un'ora per portarmi a Gaza".
Foto e video sul web hanno più volte mostrato la terribile scena. "Essere 55 giorni prigioniera mi è sembrata un'eternità.
Per questo non riesco nemmeno a immaginare cosa si provi dopo 115 giorni". Mandy Damari è una madre: lei, il 7 ottobre, si è salvata, la figlia Emily, 27 anni, è ostaggio a Gaza. "Ora - racconta con la voce incrinata - si trova in un tunnel, 40 metri sotto terra. Chiudete gli occhi e immaginate vostra figlia che viene uccisa, picchiata, abusata, sia psicologicamente che sessualmente". Parole che ghiacciano chi ascolta. Avichai Brodetz ha avuto la moglie e tre figli, tra i 4 e i 10 anni, ostaggi di Hamas a Gaza per 51 giorni. "I prigionieri laggiù sono vivi e non hanno molto tempo. Spero - ha detto - che non ci siano più combattimenti ma se c'è bisogno la guerra può aspettare, gli ostaggi non possono. E io chiedo ai media e alla comunità internazionale di fare pressione su tutti".
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