Davanti all'immane distruzione provocata a Gaza dai bombardamenti israeliani, molti - in particolare fra le centinaia di migliaia di sfollati nel sud della Striscia - si chiedono se al termine dei combattimenti sarà di nuovo possibile per loro tornare ad una qualsiasi routine. Secondo stime ufficiose, le abitazioni di 1,2 milioni di persone sono state distrutte o lesionate in modo grave. Le strade, le fognature e la rete elettrica non esistono più in molte zone. Nel settore nord gli ospedali hanno cessato le attività. E in queste condizioni andarsene per sempre diventa quasi una scelta obbligata.
Halil Dahman, 57 anni, del rione di Sheikh Radwan, è fra quanti sono ancora incerti. "Non mi è rimasto niente - dice -, né la casa né l'officina di carrozzeria". Lui vorrebbe restare comunque, ma i figli insistono per andarsene. Uno di loro è già in Egitto e sta cercando una sistemazione in Europa oppure in Canada. E pure gli altri due figli premono per lasciare la Striscia. Anche Halil Muhammad, proprietario di un piccolo negozio che vende caffè a Sheikh Radwan, guarda al futuro con apprensione. Dopo che due appartamenti della famiglia sono andati distrutti ha iniziato le pratiche per poter entrare in Egitto quando il valico sarà riaperto, per poi proseguire altrove. "Ma se dall'estero giungessero in futuro aiuti per la ricostruzione, quelli che partono non rischierebbero forse di perderli?", si chiede.
Chi non ha dubbi è il settantenne Yusef Ajrami, ex funzionario dell'Autorità nazionale palestinese, oggi in pensione. "Io resto qua nel nord", dice da una scuola di Jabalya, dove è sfollato dopo che la sua abitazione è stata distrutta. "Non ho alcuna intenzione di morire nel sud di Gaza o nel Sinai". L'Egitto è generalmente visto come un Paese ostile ai palestinesi, un luogo dove non pensano che potrebbero ricrearsi una nuova esistenza. "Non a caso - osserva Ismail Harzallah - le masse di sfollati nel sud della Striscia non hanno cercato di forzare il confine con il Sinai a Rafah. Non accetteremo di lasciare Gaza per trasferirci nel deserto".
Imprenditore edile affermato, Harzallah progetta di tornare alla sua casa di Shejaya, anche se adesso è in rovina. "Pianteremo tende - afferma - e ricostruiremo il quartiere, forse grazie anche ad aiuti da Paesi arabi. Ci vorranno anni, ma ce la faremo".
Fra quanti considerano la possibilità di rifarsi un futuro altrove, vengono evocate con una certa frequenza due mete ritenute possibili. Una è il Canada dove, secondo quanto si dice qui, il lavoro c'è ed esiste già una comunità di espatriati.
Quanti di loro hanno avuto la cittadinanza o anche il permesso di soggiorno possono chiedere il ricongiungimento familiare con i parenti rimasti nei guai a Gaza. L'altra destinazione è la Turchia, un Paese da sempre amico dei palestinesi, che ne ospita già centinaia di migliaia. Proprio in Turchia, dice Halil Muhammad, suo figlio ha aperto un ristorante, che pare ben avviato: "Lui insiste molto perché lo raggiungiamo. Ma non sarà una decisione facile".
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