Gli occhiali, le magliette e le chiavi di casa, dove restano imprigionate per sempre le urla di chi quel 7 ottobre per primo ha scoperto il terrore di Hamas.
Gli oggetti portati via dal deserto di Reim, catalogati uno ad uno, sono tutto ciò che resta del rave party Super Nova. E ora questo angolo allestito in una struttura a Cesarea, al centro eventi Cochav Hayam, è già un luogo della memoria collettiva per Israele.
"Abbiamo raccolto tutto quello che c'era, dagli abiti alle scarpe fino ai gioielli, tutto quello che è stato trovato lì adesso è in questo posto. Condividete le foto, venite a prendere le cose. Sappiamo che ha un valore affettivo inestimabile", dice lanciando un appello Raz Malka, 27 anni, uno degli organizzatori del festival che quella sera riuscì a scappare organizzando la fuga di tanti altri. Dei quattromila presenti, 464 sono stati uccisi mentre altri quaranta sono stati rapiti e portati a Gaza, ostaggio dei miliziani. "Immaginiamo che soprattutto i familiari di chi è stato rapito li vorrebbero, quindi aiutateli condividendo le foto, fate conoscere questo posto", prosegue Raz.
Il posto, fatto di scomparti, appendiabiti e stampelle, sembra un mercatino dell'usato, se non fosse che nei faldoni c'è la descrizione di effetti personali che appartenevano a persone uccise, rapite o ancora sotto choc. Per Raz forse quegli oggetti possono anche rappresentare una terapia per esorcizzare un ricordo traumatico che non si rimuove e non è facile da affrontare: "Ci sono persone che erano lì e che si sono salvate, le quali da allora non sono mai più uscite di casa e non parlano con nessuno. Dobbiamo aiutare tutti". Da giorni, fin da quando l'iniziativa è stata messa in piedi, ci sono quotidianamente famiglie che raggiungono il centro di Cochav Hayam e si affacciano sperando di trovare qualcosa: c'è chi chiede della giacca, dell'orologio o di un ciondolo che il parente o l'amico quel giorno portava con sé. E allora l'inventario diventa un testo che dà indizi sulle vite di una generazione di giovani ventenni, con i loro gusti e le loro diversità, tanto che tra i foulard nelle grosse cassette c'è anche una kefiah.
"Questo è di mio fratello", ha raccontato tra le lacrime il familiare di una persona che era al rave quella notte e adesso non c'è più. I pezzi sono migliaia e si stima che appartengano almeno a mille persone diverse: sono stati raccolti vicino al kibbutz di Reim intorno al palco della festa, tra i cespugli, nelle auto parcheggiate, a chilometri di distanza. E qualcuno di questi appartiene alle stesse vittime: tutto ciò che è qui può essere ritirato da chi in qualche modo ne fa un riconoscimento.
"In tanti siamo scappati camminando per ore. Penso soltanto al percorso che ho fatto io, che sono riuscito a salvarmi assieme alla mia fidanzata. All'arrivo dei terroristi, dopo esserci rannicchiati sotto al palco, ci siamo nascosti dietro ad un cactus, poi abbiamo cominciato a correre tra gli alberi mentre ci sparavano addosso", spiega Sarel, 25 anni: è un altro degli organizzatori del festival, che dopo quel sabato tra le rovine del massacro ha cominciato a raccogliere tracce indecifrabili di persone per restituirgli un'identità.
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