"Una catastrofe. La terza dopo quelle del 1948 (la fondazione di Israele) e del 1967 (la guerra dei Sei giorni)": dalla sua casa di Rafah, a breve distanza dal confine con l'Egitto, il romanziere Mahmoud Jouda interpreta così quello che sta succedendo nella sua Gaza, in particolare il trasferimento di massa su ordine dell'esercito israeliano di gran parte degli abitanti dal nord al sud della Striscia.
"Siamo nel cuore della tempesta", dice all'ANSA Jouda, che nei suoi libri ha narrato le sconfitte e le vicissitudini del popolo palestinese. Uno di questi, 'Gaza orfana', racconta il conflitto del 2014 fra Hamas ed Israele. "Ma adesso - nota - siamo di fronte a dimensioni del tutto differenti". Con parole misurate, Jouda lamenta che "15 anni di assedio israeliano" a Gaza hanno affossato le condizioni della Striscia: "Si è trattato di un processo prolungato nel tempo che ha generato difficoltà economiche e sociali". La prima conseguenza, a suo avviso, è che una parte della popolazione è stata spinta verso posizioni sempre più radicali.
L'operazione lanciata dopo il 7 ottobre dall'esercito israeliano ha provocato uno sconvolgimento ancora maggiore nella struttura della società locale. A quanti rientravano da generazioni nella categoria di profughi si sono aggiunti adesso i residenti di Gaza City, costretti anche loro ad abbandonare in fretta e furia le proprie abitazioni e ad unirsi alle masse di sfollati.
Per il momento, secondo Jouda, è improbabile che Israele consenta a centinaia di migliaia di sfollati di tornare nel nord della Striscia. Lo Stato ebraico gli pare anzi intenzionato a cambiare "non solo la geografia ma anche la demografia" di Gaza.
Nell'analisi dello scrittore, "la pressione militare è destinata a trasformarsi in una pressione economica e sociale, per spingere le persone fuori dalla Striscia". La prima tappa dell'emigrazione potrebbe essere l'Egitto, ma non è escluso che essa si ramifichi altrove.
Guardandosi attorno nella regione, Jouda vede "una debolezza internazionale evidente" di fronte alla politica di Israele che è sostenuta dagli Stati Uniti. In particolare, osserva, i palestinesi scontano "la debolezza del mondo arabo". Ma la capacità di resistenza della popolazione di Gaza non è infinita: "Dobbiamo prepararci - conclude allora sconsolato - ad un'altra emigrazione collettiva".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA