Una telefonata insistente, alle 2 della notte fra giovedì 12 ottobre e venerdì 13 ottobre, ha stravolto le vite di centinaia di migliaia di palestinesi, cambiando il loro destino, forse per sempre. Sui cellulari è comparso un messaggio perentorio: "Qui le forze di difesa di Israele. Dovete lasciare le vostre abitazioni e passare oltre il Wadi Gaza, nel centro della Striscia. Il posto dove vi trovate attualmente è zona di attività militare. Per proteggere voi stessi e le vostre famiglie, dovete passare a sud!".
Lo shock, raccontano gli abitanti, è stato totale. Tutti certamente sapevano dell'attacco sanguinario appena condotto da Hamas in Israele, e sapevano anche del richiamo avvenuto nei giorni seguenti di 300.000 riservisti israeliani. "Ma chi poteva mai pensare che l'esercito avrebbe colpito il campo profughi di Jabalya, così fittamente popolato da 80.000 abitanti, con case schiacciate l'una sull'altra?".
Chi il venerdì mattina, preso sul serio l'avvertimento dell'esercito israeliano, si è affrettato ad abbandonare la propria casa con in mano solo una valigetta con i documenti e qualche abito, è stato oggetto in strada di commenti ironici. La convinzione generale era che Israele stesse per compiere un'altra delle sue operazioni limitate. "Daranno il solito preavviso prima di colpire la casa di un ricercato. Allora - hanno deciso in molti - per prudenza cerchiamo come in passato un riparo provvisorio nelle strutture dell'Unrwa, l'ente dell'Onu per i profughi. La bufera passerà...".
Sono state ore fatali per la popolazione. In assenza di autorità locali che chiarissero la drammaticità della situazione, ognuno ha dovuto interpretare di persona il messaggio dell'esercito, giunto anche con volantini lanciati dal cielo e con testi su internet, sulla base delle proprie cognizioni e delle proprie intuizioni. Nel cuore della notte molti hanno cercato di consultarsi con gli anziani della zona, con persone rispettate.
Venerdì 13 la vita nei popolosi rioni di Jabalya, Shati e Zaitun, nel nord della Striscia, si svolgeva secondo la routine consueta, mentre solo pochi si affrettavano verso il Sud a bordo di automobili e anche di autobus. Dodici ore dopo la telefonata fatale erano già a sud di Wadi Gaza, a Deir el-Balah o a Khan Yunes, in cerca di un tetto provvisorio. Erano i primi sfollati e in un certo senso i più fortunati. Ogni giorno che sarebbe seguito, le condizioni si sarebbero fatte sempre più difficili.
Ormai in zona li aspettano solo tendopoli di fortuna e una grave penuria di cibo. Anche oggi, sulla Sallah a-Din, migliaia di persone sono comunque passate a piedi dal Nord a Sud, portando con sé pochi pacchi, sfruttando il corridoio umanitario di quattro ore aperto dall'esercito. Una marcia sofferta, con bandiere bianche esposte in evidenza.
Intanto a Jabalya chi è rimasto in queste settimane nel proprio quartiere nel nord della Striscia - avendo ignorato non solo il primo messaggio dell'esercito, ma anche gli insistenti appelli successivi ad abbandonare la zona - parla di una situazione diventata "infernale". "Magari - ha detto uno dei residenti - potessi adesso spostarmi a sud. Ma come faccio ora? Ho due genitori anziani. Non ci sono più mezzi di trasporto. Non possono certo affrontare una marcia di 14-15 chilometri". Una delle tante vite stravolte, forse per sempre, in seguito ad una telefonata arrivata nel cuore della notte.
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