Imboscato a Miami a fare "la bella vita", mentre migliaia di riservisti dell'esercito israeliano sono già tornati dall'estero per rispondere alla mobilitazione ordinata nello Stato ebraico sceso in guerra nella Striscia di Gaza palestinese. E' l'accusa che monta in Israele ormai da settimane - e rimbalza sui media internazionali - contro Yair Netanyahu, 32 anni, figlio ed erede del primo ministro Benyamin Netanyahu, non nuovo a controversie di ogni genere: dalle sparate politico-ideologiche improntate agli slogan della destra nazionalista più estrema, alle bravate di un'esistenza privata da privilegiato in cui non si è fatto mancar nulla, tra flirt con modelle scandinave e incursioni intercettate dai paparazzi in qualche strip club.
Spedito in Florida da papà Bibi e mamma Sara fin da aprile, dopo aver contribuito nei mesi scorsi ad alimentare a colpi di dichiarazioni incendiarie via social media lo sdegno della protesta di tanti israeliani contro il governo guidato dal padre, Yair ha da allora fatto quasi perdere le tracce. Messo di fatto a tacere dalla famiglia, e sottratto alle denunce per diffamazione ricevute. Ma dopo la riesplosione del conflitto a Gaza, l'attenzione è tornata a concentrarsi su di lui: sul rampollo che non aveva esitato a bollare alla stregua di "terroristi" i compatrioti scesi in piazza contro suo padre; salvo restare al di là dell'Oceano dopo la "dichiarazione di guerra al terrorismo di Hamas".
Un comportamento che molti compagni d'arme più o meno coetanei sparsi in giro per il mondo non riescono proprio a mandar giù. Tanto meno in un Paese in cui la leva militare obbligatoria è di tre anni per i maschi e di due per le femmine (religiosi ortodossi a parte). Paese che i Netanyahu delle generazioni precedenti hanno servito in divisa nelle forze speciali d'elite del Sayeret Matkal, alla testa dei cui commando il fratello maggiore di Bibi, Yonathan, detto Yoni, cadde 29enne in fama di eroe durante il leggendario blitz per la liberazione degli ostaggi del volo Air France Tel Aviv-Parigi dirottato nel 1976 a Entebbe, in Uganda. E che Yair viene invece rimproverato ora di abbandonare nel momento del bisogno, in barba a tutta la retorica nazional-messianica di certi suoi post del passato.
"Yair si gode la vita a Miami Beach mentre io sono al fronte", è sbottato un volontario della riserva dislocato al confine col Libano per tenere a bada gli Hezbollah e citato dal Times. L'apparizione del delfino il 17 ottobre a Fort Lauderdale, per un evento di raccolta di aiuti inviati da un'ong ebraica, Yedidim USA, alle famiglie colpite dagli attacchi di Hamas e ai soldati non è bastata del resto a placare le acque. Anzi. Anche perché la sua latitanza fa a pugni con il moltiplicarsi di storie di connazionali rientrati in fretta e furia, qualcuno dal viaggio di nozze, per rispondere alla "chiamata della patria".
"Tanti di noi - ha detto uno di loro, ripreso sempre dalla stampa britannica - hanno lasciato il lavoro, le famiglie, i figli per tornare nella nostra nazione a proteggere la nostra gente". "E non siamo noi ad avere la responsabilità di quanto è accaduto", ha aggiunto, recriminando indirettamente contro le colpe e le negligenze rinfacciate da moltissimi israeliani al governo di Nertanyahu padre o agli apparati dello Stato dopo il devastante attacco del 7 ottobre. "Questo - la sua conclusione - non è certo qualcosa che aiuterà a ricostruire la fiducia nella leadership del Paese".
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