Il sito del Forum delle famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas conta i secondi, i minuti, le ore interminabili da quando 229 israeliani, bambini, donne, anziani, sono stati inghiottiti dal buio dei tunnel di Gaza.
L'orologio digitale ha ormai superato i 21 giorni di attesa e angoscia per i familiari che cominciano a perdere la fiducia nel governo di Benyamin Netanyahu, impegnato a "debellare Hamas" a tutti i costi con gli attacchi aerei sulla Striscia e un'invasione di terra che il 7 ottobre sembrava imminente ma che è stata più volte rinviata.
E così, dopo le proteste di piazza contro il governo di emergenza nazionale al quale le famiglie chiedono, finora senza risultati, di essere ricevute, si moltiplicano le iniziative del gruppo o dei singoli per tentare il tutto per tutto. Avichai Brodtz sta aspettando da tre settimane di riabbracciare la moglie Hagar e i suoi tre bambini: Uria di 4 anni, Yuval di 8 e la maggiore Ofri di 10, portati via dai terroristi dal kibbutz di Kfar Aza. Brodtz era stato il primo a sedersi davanti al ministero della Difesa di Tel Aviv per chiedere al governo di "riportarli a casa", ed è stato poi seguito da decine e decine di parenti, amici, semplici cittadini, riuniti da quel giorno in un sit-in permanente.
Stufo di aspettare senza notizie rassicuranti, e disperato, questo giovane agricoltore, che studia per diventare infermiere, è volato a Washington per incontrare direttamente l'ambasciatore del Qatar negli Stati Uniti Mashal al-Thani, e chiedere aiuto al Paese del Golfo accreditato come mediatore, soprattutto dopo la liberazione di quattro donne israelo-americane nei giorni scorsi. "Come genitore e padre di tre bambini tenuti da Hamas a Gaza, spero che il Qatar continui i suoi sforzi per riportare immediatamente a casa mia moglie, i miei tre figli e gli altri 30 bambini tenuti in ostaggio", ha dichiarato l'uomo. Dopo l'incontro Brodtz ha parlato di un faccia a faccia "positivo": "L'ambasciatore mi ha fatto molta impressione, è stato molto umano", ha spiegato alla radio pubblica israeliana. E ha ringraziato il Qatar "per il suo ruolo significativo negli sforzi per la liberazione degli ostaggi".
Appena un paio di giorni fa il primo ministro dell'emirato, Muhammad ben Abderrahman Al Thani aveva detto di sperare di poter vedere "presto" una svolta per le persone rapite e di voler mantenere aperti i canali di comunicazione. Ma da Hamas è arrivata un'altra doccia fredda: secondo la delegazione ricevuta a Mosca, "gli ostaggi non saranno rilasciati finché non verrà concordato un cessate il fuoco", ha detto uno dei membri della delegazione, Abu Hamid, al quotidiano russo Kommersant. Le Brigate al Qassam fanno leva sul timore che un'invasione, così come i raid aerei, possano mettere in pericolo la vita delle persone rapite: 50 ne sarebbero già morte negli attacchi israeliani, secondo Hamas. Stando a un sondaggio di Maariv, infatti, il sostegno degli israeliani a un'operazione di terra nella Striscia è passato dal 65% al 49 in una sola settimana, proprio per il timore che possa nuocere agli ostaggi o alle trattative per il loro rilascio.
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