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MIRACOLO Ci vorrebbe un miracolo, ce l’ho fatta per miracolo, oppure il miracolo della vita o della pace, espressione usata dal ministro degli esteri svizzero a proposito dell’ipotesi di un negoziato che sancisca la fine della guerra in Ucraina. Quante volte abbiamo detto o sentito usare queste espressioni? A cominciare dai giorni in cui, dopo lo spaventoso terremoto in Turchia e Siria, venivano estratti ancora vivi dalle macerie donne, uomini e bambini anche dopo centinaia di ore.
A cominciare da Aya, la bambina simbolo di questa vicenda, nata proprio sotto le macerie e il cui nome in arabo significa ‘miracolo’. In tutti questi casi il modo in cui usiamo la parola ‘miracolo’ è chiaro: non solo si tratta di qualcosa di straordinario, prodigioso e inaspettato ma soprattutto di qualcosa di quasi impossibile. E’ anche il senso in cui la usa Leonard Cohen in una sua celebre canzone intitolata Waiting for the miracle: ricordato da alcuni come il cantautore triste e depresso – ma l’album che contiene quella canzone si intitolava The future, e tutte e due sono state usate per la colonna sonora di un film controverso, Natural Born Killers di Oliver Stone -, Cohen qui aspetta il miracolo come si aspetta qualcosa che più o meno inconsciamente si sa che non potrà arrivare.
Per la cronaca, nella vita di Cohen all’inizio degli anni ’90 il ‘miracolo’ avrebbe dovuto essere una canzone all’altezza delle sue aspettative stilistiche e un amore completo e davvero appagante. Che non era neanche quello per l’attrice Rebecca de Mornay, con cui ebbe una storia negli anni Novanta del Novecento proprio mentre preparava il disco e cui si rivolge in ‘Waiting for the Miracle’ con una vera e propria dichiarazione di matrimonio (‘piccola sposiamoci, siamo stati soli troppo a lungo’).
Anche Cohen è l’espressione di una cultura, quella ebraica, che sarà poi rafforzata dal cristianesimo, per cui il miracolo è un fatto così eccezionale, così portentoso da sovvertire la realtà, da modificare l’ordine delle cose (le acque del Mar Rosso che si aprono per far passare Mosè e il suo popolo: qualcosa che, naturalmente, non può accadere e che infatti non accadrà mai più. In questo senso la vera eccezione contraddittoria è il miracolo di San Gennaro che ‘si ripete tre volte l’anno in date ufficiali e solenni’, come recita il sito ufficiale della cappella del santo, vescovo di Benevento, morto decapitato nel 305 a Pozzuoli per le persecuzioni volute da Diocleziano). Ma il miracolo non è stato sempre questo e la stessa origine e storia della parola ce lo mostra.
E’ il recupero di una voce dotta dal latino miraculum, che significa prodigio, stranezza, meraviglia e deriva da mirari, meravigliarsi. In greco la parola era thaumazein (ne abbiamo già parlato a proposito della parola ‘meraviglioso’) che accentua l’elemento del turbamento e dello stupore per qualcosa che sorprende e affascina. Tanto che miracolo nel Medioevo diventa sinonimo di ‘sacra rappresentazione’, il genere teatrale da cui il teatro stesso rinacque. Ma miro, che significa guardo, come aggettivo, ancora in uso in Manzoni, Carducci e D’Annunzio, ha il significato di ‘bellissimo, degno di grande ammirazione’: ‘dalla mira vision percossa’ oppure ‘La mira madre in poveri panni il figliol compose’ . E’ in fondo il significato che si ritrova in Dante della parola miracolo, all’incontro tra divino e terreno, nel celebre verso di ‘Tanto gentile e tanto onesta pare’: ‘e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare’. Beatrice è una creatura terrena ma così bella e così perturbante che sembra sia venuta dal cielo a far vedere cosa è un miracolo.
Qui la potenza di Dio si traduce e si incarna in un corpo e in uno sguardo così belli da far sospirare e rendere muti tutti coloro che la osservano, come canta Dante nella Vita Nova. E oggi d’altra parte siamo pieni di manuali di auto-aiuto che ci spiegano come diventare il miracolo di noi stessi: ‘Sìì il tuo miracolo’, dice Dio-Morgan Freeman a un attonito Jim Carrey nel film ‘Una settimana da Dio’. Il miracolo, come ci ha spiegato Cohen, pur essendo improvviso e stupefacente, sembra inevitabilmente legato all’idea dell’attesa e della sospensione: Dino Buzzati, che ai miracoli ha dedicato un libro di racconti, ha scritto l’opera italiana più rappresentativa di questo stato di sospensione molto laica in attesa di qualcosa che stravolgerà la realtà e darà un senso alla vita, ‘Il deserto dei Tartari’. E Lucio Dalla, che nel 2023 avrebbe compiuto 80 anni, ha rappresentato in una canzone il miracolo più pagano che esista: la gioia di una città che si muove, si accende e rivive dopo anni troppo bui in ‘La sera dei miracoli’.
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