18 GENNAIO
E' la partita delle partite, per Matteo Renzi, quella del Quirinale. La chiamata in correità del premier al Pd ("Se va male, siamo noi i colpevoli"), la ricerca di un'intesa il più possibile ampia ("Pd, Fi, Ncd, ma meglio ancora se anche M5S), la piena legittimazione delle trattative con tutti ("il Presidente della Repubblica è eletto da accordi, non da un partito") tradiscono il bisogno di Renzi di non legare al suo nome soltanto le ripercussioni politiche e di 'sentiment' nell'elettorato, inevitabilmente legate alla scelta.
Non solo io, sembra dire il premier, ma "tutti" avremo fatto la scelta giusta o sbagliata. Di fronte ai primi segnali di stanchezza per riforme promesse ma non ancora in porto, con il Pd in ebollizione ed il rischio forte di perdere pezzi, davanti alle crepe sempre più evidenti del Patto del Nazareno e con le prime incrinature del consenso (almeno stando ai sondaggi), gli esiti nefasti di un errore sul Colle si legherebbero non solo al destino personale di Renzi, ma alla tenuta della legislatura. "Non ci possiamo permettere di sbagliare", ripete perciò a tutti il premier. Renzi sa bene che le scelte fatte nelle elezioni presidenziali degli ultimi anni hanno avuto ripercussioni clamorose sia a livello politico che nell'opinione pubblica.
Bersani ha pagato con le sue dimissioni il prezzo dell'affossamento di Prodi e lo spettacolo indecente offerto dal Parlamento nel 2013. La fine della solida leadership di D'Alema è iniziata con l'aver subito nel 1999 l'elezione di Ciampi e con la successiva rottura con il Ppi di Marini. Anche il premier rottamatore sa che pagherebbe un prezzo davanti all'opinione pubblica, per una scelta sbagliata. La sua leadership - percepita all'inizio come quella di un politico che guarda avanti, rompe schemi - sarebbe appannata dal puntare su un candidato troppo debole, sbiadito o della vecchia guardia. Ma c'è chi è pronto ad impallinarlo per un nome troppo gradito a Berlusconi, messo a sigillo dell'avversato Patto del Nazareno.
E chi dal centrodestra (Alfano in primis) lo avverte sulle conseguenze di un candidato troppo legato alla' Ditta', già piazzata ai vertici delle istituzioni. Già, ma quale "Ditta"? Proprio le turbolenze nelle riottose minoranze Pd impensieriscono Renzi, dopo l'addio di Cofferati che potrebbe preludere alla nascita di una 'Cosa Rossa' (con pezzi della minoranza Dem e di Sel). Una scissione che farebbe perdere per strada numeri essenziali per il percorso riformatore. Ecco perché tra i consiglieri del premier c'è anche chi lo spinge a non voltarsi indietro, a non tradire il suo profilo da rottamatore e a scegliere una figura di primo piano, "un nome alla Papa Francesco" che sparigli le attese del Palazzo.