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La parola della settimana è "autentico" (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è "autentico" (di Massimo Sebastiani)

All'interno il podcast

08 gennaio 2024

Redazione ANSA

ANSACheck

La parola della settimana è "autentico" (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana è "autentico" (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana è "autentico" (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Siamo alla costante ricerca dell’autenticità, di ciò che è autentico, del sapore autentico, del gusto autentico, dello spirito autentico di qualcuno o di qualcosa. La cosa, in effetti, dovrebbe insospettirci: se cerchiamo qualcosa è perché non ce l’abbiamo. Nella migliore delle ipotesi perché l’abbiamo persa (o crediamo di averla persa: il mito dell’età dell’oro, di una dimensione aurorale in cui le cose erano migliori di adesso e in molti casi quindi più pure e autentiche è più o meno sempre esistito), nella peggiore perché non l’abbiamo mai avuta o vista e la desideriamo con forza.

 

Il più antico e prestigioso dizionario americano, il Merriam Webster, ha individuato la parola dell’anno 2023 e la sua scelta è caduta su ‘autentico’. Il motivo (quello, diciamo, materiale) è semplice: è stata, un po’ a sorpresa, la parola più cercata sul sito del dizionario. Una sorpresa in realtà relativa se si considerano due aspetti, entrambi di portata globale: l’imperversare di fake news, di informazioni contrastanti e la crescita e l’affermazione dell’intelligenza artificiale, in grado di creare immagini false ma molto verosimili, sia fisse che e in movimento, e il successo planetario di Taylor Swift, richiamata esplicitamente dal Merriam Webster per la sua annunciata volontà di ricercare il ‘sé autentico’.  

Taylor Swift ha venduto, tra album e singoli, circa 300 milioni di copie, è considerata la pop star più influente del pianeta e secondo il Time, che le ha dedicato la tradizionale copertina, è la persona dell’anno. Parlando a Radio Capital, il giornalista Massimo Basile, ha spiegato tutto questo così: ‘Credo che il suo successo nasca dal fatto che, oltre a essere un’artista e una cantante molto brava, il suo lavoro appare sempre molto onesto. Compone canzoni da quando aveva 13 anni, nei suoi testi e nelle sue storie mette la sua esperienza così com’è: sincera. Parla della sua angoscia, della depressione che ha superato, di come sente sempre di essere una somma di errori, dell’incertezza… E con questo modo di esporsi ha creato un ponte con milioni di adolescenti’.  

   Si potrebbe obiettare che Swift non è la prima cantante ad aver reso pubbliche attraverso le canzoni le sue debolezze e le sue ossessioni ma il punto non è questo evidentemente. Il punto è la ‘fame di autenticità’ che, magari inconsapevolmente, la popstar ha cavalcato. Il desiderio di autenticità però non è alimentato solo dall’eccesso di informazioni distorte, dall’affermazione dell’intelligenza artificiale generativa e dalla diffusione dei social network. A porre la questione in termini radicali nel XX secolo era stata una nostra vecchia conoscenza, Martin Heidegger. Nella sua opera capitale, Essere e tempo, del 1927, distingue tra vita inautentica e autentica. Anzi autenticità e inautenticità sono per lui le due dimensioni fondamentali dell’esistenza. E Heidegger fa un riferimento importante all’etimologia della parola: autentico infatti non significa solo vero, cioè il contrario di falso (motivo per cui, nelle transazioni abbiamo bisogno di un funzionario, di solito un notaio, che autentichi, cioè certifichi come vera la nostra identità, la nostra firma, un documento), ma fa anche riferimento alla proprietà, a qualcosa su cui esercitiamo una autorità. In tedesco, sottolinea Heidegger, la radice di Eigentilchkeit, che lui traduce come autenticità, è eigen che vuol dire ‘proprio’. La stessa cosa accade in greco e in una certa misura in italiano. Nel greco authentikòs risuona il termine autòs che vuol dire ‘proprio’ ma anche ‘stesso’. L’authèntes è colui che opera da sé, è autore (parola che ha come si vede la stessa radice).

 Già nel 2007, prima dunque dell’avvento dei social network, dell’allarme  sulle fake news e di quello per la crescita incontrollata dell’IA generativa, un altro studioso, il canadese Charles Taylor, professore emerito di scienze politiche e filosofia, aveva parlato esplicitamente dell’età dell’autenticità intesa non come soggettivismo relativistico e individualismo sfrenato ma come istanza o addirittura ideale morale: ognuno, spiega Taylor, è chiamato ad essere fedele a se stesso e ricercare la propria realizzazione ed in che cosa essa consista lo deve decidere da sé. Come è stato scritto è una posizione che si può definire individualismo dell’autorealizzazione. E’ la prova che dietro ad un grande fenomeno pop c’è sempre qualcosa di molto più profondo e che niente è davvero inspiegabile. Nemmeno Taylor Swift quando canta il desiderio di essere se stessa in amore anche rischiando di essere chiamata ‘puttana’.

 

  

 

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