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Le parole viaggiano, hanno una storia e anche una geografia, sono soggette alle modifiche dovute all’uso e al modo in cui questo evolve, a volte scompaiono si inabissano per poi riemergere diverse, cambiate. (Anche) per tutte queste ragioni, vivono spesso in una regione di confine o, come abbiamo detto in un’altra occasione, abitano un crinale per cui il loro significato, o almeno la loro risonanza, può modificarsi a secondo del punto di vista da cui le si osserva. Un caso tipico è quello della parola rumore, in cui l’accezione per lo più negativa (‘che rumore fastidioso!’, oppure: ‘non fare tutto questo rumore!’) ha decisamente avuto la meglio nonostante il fatto che ci sia un rumore che non è affatto sgradevole perché equivale all’esistenza, alla testimonianza di una presenza e quindi ad un indispensabile elemento di vitalità: chi fa rumore esiste, c’è ed è una presenza ineludibile, vivificante anche se a volte (o proprio per questo) disturbante. Lo ha cantato Diodato nella canzone che ha vinto il festival di Sanremo del 2022 ma lo verifichiamo ogni volta che drizziamo le orecchie per percepire qualcosa, un rumore appunto, che indica una presenza: ‘hai sentito questo rumore?’.
Il rumore bello, il rumore che significa presenza, testimonianza, partecipazione e voglia di farsi sentire appunto, è tornato tristemente di attualità con il femminicidio di Giulia Cecchettin. Prima la sorella Elena, che aveva chiesto non il minuto di silenzio ma un minuto di rumore per la morte di Giulia, e poi il padre Gino al funerale, hanno fatto riferimento a questa funzione del rumore. ‘Il rumore per Giulia – ha detto il papà – deve tenerci svegli’ cioè deve farci stare sempre all’erta e ha la funzione di non farci dimenticare quello che è successo, di tenera viva la memoria. Insomma, è quello che intendiamo nel linguaggio colloquiale quando diciamo ‘dai facciamo casino!’ che è come dire ‘restiamo vivi e facciamoci sentire’. Il suo opposto semantico ma omologo nello scopo è guarda caso, il ‘silenzio assordante’, espressione diventata molto popolare per indicare. D’altra parte, e qui entriamo appunto in quel territorio di confine a cui abbiamo accennato prima, il silenzio stesso si sente e fa rumore: lo dice la scienza, o comunque una ricerca pubblicata di recente su Proceedings of the National Academy of Sciences, la prestigiosa istituzione americana con base a Washington, secondo cui il cosiddetto nulla del silenzio somiglia molto al cosiddetto vuoto della fisica, che in realtà non esiste in quanto tale, ed infatti è avvertito come qualcosa che può essere udito.
La cattiva fama del rumore deriva anche dalla sua contrapposizione al suono, che è, secondo la definizione, un’onda sonora periodica in cui il movimento si ripete a intervalli regolari, mentre i rumori non hanno questa forma periodica. Non è un caso che il titolo di un libro di uno dei più celebri e brillanti critici musicali americani, Alex Ross, dedicato alla musica del XX secolo nel suo complesso, sia proprio ‘Il resto è rumore’: un modo per creare una sorta di canone che ci faccia apprezzare l’avanguardia musicale, così difficile da comprendere a volte, giocando proprio sull’ambiguità del rapporto tra musica e rumore (un’espressione che quelli conosciuti un tempo come ‘benpensanti’, cioè conformisti e tendenzialmente contrari alle novità usavano e usano per bollare certa musica in certi casi è proprio: ‘ma questo è solo rumore’).
Eppure il Rumore bianco (che è anche il titolo di un celebre romanzo di Don DeLillo) è un suono diventato di gran moda in tempi di stress facile e manuali di self help perché induce il rilassamento. Di cosa si tratta in effetti? Il nome deriva dal fatto che contiene tutto lo spettro delle frequenze udibili, proprio come la luce bianca contiene tutto lo spettro dei colori. E’ un sottofondo, qualcosa che, come nel romanzo di DeLillo, ci avvolge e ci segue anche mentre ascoltiamo altro: un po’ come il chiacchiericcio e il gossip, quello che in inglese si dice rumor, che infatti deriva dalla stessa parola latina da cui discende l’italiano rumore.
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