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In evidenza
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Leggiamo sempre più spesso la realtà attraverso la lente dei numeri, magari per brandirli come un’arma nelle dispute tra opposte tifoserie. Il pil, previsto in ribasso dalla commissione Ue per l’Italia nel 2023, i numeri delle vittime di una guerra, sbandierati da una parte e dall’altra, come se la quantità, in questi casi, potesse fondare una qualche legittimità morale all’azione o all’indignazione; i numeri elettorali, sempre soggetti a interpretazioni, a riprova del fatto che non c’è adagio più fallace di quello ispirato ad una frase di un ministro delle Finanze (Bernardino Grimaldi, verso la fine dell’800: e si parlava, guarda un po’, di abolire una tassa e quindi di trovare risorse da un’altra parte per portare i saldi in pareggio); i numeri dei voti a scuola, quelli che la sottosegretaria all’istruzione di Fratelli d’Italia, Paola Frassinetti, ha annunciato di voler reintrodurre anche alle elementari (numeri a volte assurdi, come quelli di certi ‘tre meno meno’ ai compiti in classe di greco o di matematica); e poi i numeri dello sport, che garantiscono la statistiche e le classifiche ma non esauriscono i punti di vista dettati dalla passione: si può discutere all’infinito sul valore di una vittoria per 1-0. Per non parlare del tennis, che ha il conteggio forse più strano e probabilmente deriva dall’orologio (diviso in quarti da 15) o dalla misura del campo della pallacorda che era di 45 piedi e a ogni punto ci si muoveva di 15.
Ascolta "Numero (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.
I numeri rappresentano un linguaggio che a volte interpreta anche speranze o ossessioni oltre che angosce: come le quote pensionistiche, 103, 104, che scandiscono il tempo che ci separa dalla fine delle fatiche del lavoro. E ci sono naturalmente i più tristemente noti, i numeri che riducono a numero ciò che solo numero non è, cioè una persona, i numeri di una gelida e funerea contabilità: quelli impressi sull’avambraccio sinistro dei deportati ad Auschwitz (una pratica diventata sistematica solo nel 1943 per opere di Rudolf Hoess, detto l’animale di Auschwitz, che diede il suo nome anche all’Aktion Hoess, lo sterminio sistematico degli ebrei ungheresi a Auschwitz-Birkenau nel quadro della soluzione finale) e quelli segnati sulle bare dei migranti morti ma non identificati, per esempio nel naufragio di Cutro del gennaio 2023.
Ma cosa sono effettivamente i numeri e da dove vengono? Se è vero, come sosteneva Galileo Galilei, che i numeri sono l’alfabeto con cui Dio ha scritto l’universo, la necessità di elaborare il concetto di numero per avere un qualche controllo della realtà risale agli albori della civiltà con alcuni ritrovamenti che ci dicono qualcosa di interessante su questa necessità e che risalgono ad un periodo tra 40mila e 25mila anni fa. Si tratta di ossa ritrovate tra l’Africa (un reperto noto come l’osso di Ishango al confine tra Zaire e Uganda) e l’Europa centrale e incise con delle tacche raccolte in gruppi evidentemente utilizzate anche (sebbene non solo) per il conteggio di qualcosa.
Il passo avanti decisivo è quello dei calcoli dei babilonesi, comprovati da testi matematici del 3500 a.C. che utilizzavano un sistema sessagesimale, cioè a base 60, che non aveva bisogno dello zero (ce ne siamo occupati nel podcast sulla parola Zero). Erano sistemi che servivano per misurare le aree e le superfici (agrimensura), la distribuzione di cereali e il tempo (ecco spiegato perché unità come ore, minuti e secondi a base sessanta esistono ancora oggi). E uno di questi elementi, la distribuzione, si ritrova anche nell’etimologia, peraltro piuttosto incerta, della parola numero. Deriverebbe dalla solita radice indoeuropea, nem-, che significa distribuire, devolvere, assegnare. Il numero in questo senso è potere: in greco nemo significa amministro, regolo, nomos è la legge e Nemesis è il nome della dea della giustizia.
Siamo abituati a dire che le parole sono pietre ma in realtà le prime pietre, anzi pietruzze per la precisione, sono i numeri: calculus infatti, da cui derivano calcolo e calcolare cioè operare con i numeri, significa proprio ‘piccola pietra’ e infatti i calcoli non sono altro che piccoli sassolini che si formano in alcuni organi del corpo umano per le ragioni più varie.
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