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In evidenza
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C’è una parola che sembra essere parente stretta di ‘terrore’ e ne condivide anche il suffisso, cioè l’elemento morfologico che si aggiunge alla radice, e che nei giorni della violenza in Medio Oriente è stata usata spesso alternandosi con quella di ‘terrore’ ed è ‘orrore’. E’ una parola però che nell’Occidente avanzato e sostanzialmente pacificato degli ultimi decenni è entrata anche con una certa leggerezza nel linguaggio comune: a molti di noi sarà capitato di dire ‘che orrore quelle scarpe’ o magari ‘guarda che colore orrendo’. Di fronte all’orrore vero, a quello che nei giorni che sono seguiti all’attacco di Hamas ad Israele ci ha posto davanti agli occhi le case distrutte, le decine e centinaia di corpi solo intuibili perché chiusi in sacchi o coperte, e infine piccoli corpi di bambini quando non di neonati mostrati sui social e anche in tv a rimarcare lo sgomento per l’assurdità di una caccia, perché di questo si tratta, all’usurpatore, all’infedele o al terrorista, a seconda dei casi. Eppure nessuno discuterebbe l’appellativo che, magari con un po’ di pigrizia, viene dato da anni a Stephen King: il re dell’horror. Cos’è dunque l’orrore e in che senso confina con il terrore?
Ascolta "Orrore (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.
Viene spesso citato un celebre passaggio di Howard Phillips Lovecraft secondo cui ‘L’emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto il quale spaventa’ perché ‘incertezza e pericolo sono sempre stati stretti alleati, facendo così di un mondo occulto un mondo di pericolo e di possibili malvagità’. La prima parte di questa frase di Lovecraft l’avevamo già citata a proposito della parola ‘panico’. Siamo chiaramente, come per terrore, nella famiglia allargata della ‘paura’. Ma se come abbiamo detto nella puntata dedicata al terrore, la paura è un istinto primario dell’umano che può garantirgli la sopravvivenza magari spingendolo alla fuga in presenza di una minaccia, il terrore (da terrere) paralizza mentre l’orrore genera qualcosa di ancora diverso: la ripugnanza, la repulsione, il ribrezzo, il raccapriccio. E i dizionari parlano infatti di sensazione violenta.
Insomma, più del terrore, l’orrore ci investe fisicamente e infatti la parola, la cui radice ritroviamo in orrendo, orribile, orrido, orripilante, deriva dal latino horrère che sta per rizzarsi e fa riferimento ai peli del corpo. Ma, con buona pace di Lovecraft, che con Edgar Allan Poe da sempre si contende il titolo di padre dell’horror, questo orrore non ha sempre bisogno dell’ignoto, del soprannaturale o di ciò che, pur essendo dentro di noi e ignoto a noi stessi, cioè l’inconscio: L’esorcista, il film del 1973 di William Friedkin, che, come tutti i grandi horror, è molto più di un horror, miscelava con sapienza perturbante proprio questi due elementi, il soprannaturale e l’inconscio. La caratteristica di questi film, dagli anni ’20, al seminale la notte dei morti viventi di George Romero del ’68 all’Esorcista che ha rappresentato una svolta dando un impulso al genere che ha trionfato e de-generato negli anni ’80 con i film di Sam Raimi e Wes Craven, è quella di somministrare agli spettatori ciò che loro stessi richiedono: reazioni fisiche e biochimiche legate al rilascio di dopamina, endorfina e adrenalina.
Questo orrore può abitare in un’area geografica non così distante da noi o addirittura tra le mura di casa ed essere incarnato non da spiriti, vampiri o esseri maligni ma da umani comuni e banali, come un soldato o un fidanzato di quelli cantati da Capossela in La cattiva educazione o di quelli che disgraziatamente hanno conquistato le cronache anche nell’ultimo anno, come Alessandro Impagnatiello, il killer di Giulia Tramontano, la ragazza uccisa al settimo mese di gravidanza e il cui nome è stato proposto per l’Ambrogino d’oro.
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