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La parola della settimana: Occidente/3 (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana: Occidente/3 (di Massimo Sebastiani)

'Tutte le civiltà non occidentali hanno dovuto fare i conti con l'Occidente' scrive Vera Zamagni. Il gusto della scoperta e la coscienza della crisi sono caratteristiche occidentali

07 ottobre 2022, 20:31

di Massimo Sebastiani

ANSACheck

La Parola della settimana - Occidente 3 - RIPRODUZIONE RISERVATA

La Parola della settimana - Occidente 3 - RIPRODUZIONE RISERVATA
La Parola della settimana - Occidente 3 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Se è vero, come ha scritto Vera Zamagni nel libro ‘Occidente’, che abbiamo citato nella prima puntata, che ‘tutte le civiltà non occidentali hanno dovuto fare i conti con l’Occidente mentre il contrario non è vero’ è altrettanto corretto sostenere che si è incuriosito, si è aperto, si è voluto ibridare, come ci piace dire oggi, con l’Oriente infinitamente di più di quanto non abbia fatto l’Est con l’Ovest. Il gusto della scoperta – per qualcuno anche della colonizzazione - e la coscienza della crisi sono caratteristiche occidentali.

La civiltà occidentale ha intriso di sé – ha scritto Zamagni – il resto del mondo e questo vale anche per la musica rock e la moda eppure sono stati i Beatles a cercare l’India e non viceversa, e gli stilisti occidentali a ispirarsi all’Oriente, il britannico Peter Gabriel, già fondatore e front man dei Genesis, a promuovere la cosiddetta World Music, Tony Nader, neuroscienziato dell’Mit di origini libanesi, a sostenere la Meditazione Trascendentale di Maharishi Mahesh Yogi in un libro dal titolo.

‘Un oceano illimitato di coscienza’ la cui prefazione è stata scritta da David Lynch, il regista nato nel Montana, autore di film dove delirio, orrore, sogno, mistero ma anche beatitudine si intrecciano e che è uno dei più noti e accaniti ambasciatori della meditazione trascendentale nel mondo. Non sono casi isolati: Albert Einstein coglie lo spirito del buddismo ma il contrario, per quanto ne sappiamo, non è avvenuto; un cosmologo americano, Anthony Aguirre, prova a spiegare la fisica quantistica anche attraverso lo zen (e a qualcosa di simile accenna anche il nostro Carlo Rovelli, l’autore del fortunato ‘Sette brevi lezioni di fisica’ in ‘Helgoland’). E si potrebbe continuare; Francois Jullien, filosofo e sinologo francese, in un libro intitolato ‘Logos e Tao’, prova a dirci che per secoli, avendo ancorato la parola al discorso e il discorso alla logica forse abbiamo perso qualcosa. Goethe, con il suo ‘Divano Occidentale-Orientale’, poesie d’amore ispirate a quelle di Hafez, mistico sufi persiano vissuto nel XIV secolo costruisce un ponte, non solo personale, con l’Oriente più vicino e un secolo e mezzo dopo gli autori della beat generation guardano all’Oriente per allargare i propri orizzonti e lanciare quella che verrà definita ‘controcultura’. E d’altra parte il multiculturalismo è un’invenzione dell’Occidente mai dell’Oriente. E ancora: le più potenti critiche e accuse all’Occidente arrivano dall’interno.

Come quella, memorabile, di Milan Kundera, che accusava ancora all’inizio degli anni Ottanta il suo Occidente di aver dimenticato quel lembo estremo del continente formato da Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria e averlo abbandonato nelle mani del blocco sovietico guidato da un’ideologia di cui Putin sembra avere palese nostalgia Non solo, dunque, democrazia, libero mercato e scienza, come abbiamo detto nella puntata precedente, ma anche autocritica e coscienza della crisi sono caratteristiche di un Occidente che per questo non può che essere inviso a Putin, proprio mentre si stanno aprendo le prime crepe anche nella società russa di fronte alla scelta belligerante del capo del Cremlino. D’altra parte è in Occidente che sono stati scritti libri come ‘1984’ di George Orwell e ‘Il mondo nuovo’ di Aldous Huxley, citati di recente ida Michel Onfray in una intervista al Foglio sul tema del futuro della civiltà occidentale, che, in forme diverse, hanno suonato la sveglia a questa parte del mondo sui rischi di una crisi e di una degenerazione della propria forma di sviluppo e di evoluzione. Mentre l’università di Oxford, quindi non un’istituzione qualunque per il nostro mondo, cambia il nome alla facoltà di studi orientali, perché il termine stesso ‘orientale’ richiama il periodo del colonialismo, dovremmo forse guardare con più speranza e più ottimismo a quelle stelle dell’Occidente cantate da chi dell’Occidente, di un certo Occidente, ha fatto un’epopea in musica, Bruce Springsteen

en.

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