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La parola della settimana è promessa (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è promessa (di Massimo Sebastiani)

PROMESSA, una delle parole più usate e abusate con la campagna elettorale in pieno svolgimento

02 settembre 2022, 16:50

Redazione ANSA

ANSACheck

La parola della settimana: promessa - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana: promessa - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana: promessa - RIPRODUZIONE RISERVATA

Con la campagna elettorale in pieno svolgimento e che per definizione è fatta soprattutto di parole (in comizi, talk show, post sui social), una delle più usate e abusate e per questo già ampiamente criticata e ridimensionata, è la parola promessa. Non c’è niente di male, ovviamente: l’essenza di una sfida elettorale per ogni partito è quella (o dovrebbe essere) di mettere sul tavolo il proprio programma elettorale, il quale è un elenco, più o meno articolato, più o meno dettagliato e sostenuto da spiegazioni su come realizzare le promesse che di fatto contiene.

Qualcuno ha scritto che le cannoniere delle proposte mirabolanti, cioè delle promesse irrealizzabili, stanno già sparando a tutta forza. Perché anche la promessa, che è una parola geneticamente ed etimologicamente legata al futuro, si muove su un territorio scivoloso e può prendere strade assai diverse.  L’espressione, diventata anche metafora, a cui da sempre la leghiamo è quella di ‘Terra promessa’, quella che nel libro della Genesi della Bibbia viene indicata per i discendenti di Abramo attraverso il figlio Isacco. Molto secoli dopo, nell’epoca laicizzata del disincanto Eros Ramazzotti la interpreta come orizzonte sognato, sperato, utopistico con una chiara venatura di scetticismo.

  Pur avendo a che fare con le parole, abbiamo detto più volte che l’etimologia non è tutto: può dirci certamente molto dell’origine di una parola e anche sorprenderci per i mutamenti avvenuti nel suo cammino ma certamente non è tutto. L’origine di promessa però ci dice subito qualcosa: il latino promittere è composto da pro-, davanti, e mittere, mandare e pròmissa dunque sono le cose promesse. Questi ci dice dunque il legame della parola con il futuro e quindi con l’attesa e la speranza ma anche, dunque, con il rischio e la possibilità di una delusione se non addirittura di un vero e proprio tradimento.

  Chi ha memoria degli studi di latino fatti a scuola, forse ricorderà la trimurti ‘spero promitto iuro’. Era una facile rima usata come trucchetto per memorizzare una regola: ‘spero promitto e iuro vogliono l’infinito futuro’. Se speriamo, se promettiamo e, ancora di più se giuriamo, lo stiamo facendo perché siamo già proiettati e connessi con il futuro. Promitto tibi daturus, prometto che ti darò: in italiano quell’infinito non esiste più ma il futuro è rimasto.  E il futuro, come abbiamo detto altre volte, è per definizione incerto.   La promessa quindi oscilla tra speranza e incertezza proprio perché riguarda il futuro (basta pensare ai Promessi sposi), il contesto che può mutare, la capacità di qualcuno di realizzare (o di voler realizzare davvero) ciò che ha promesso e di mantenere quindi la parola data.  Musica, letteratura e cinema sono piene di promesse e delle conseguenze ad esse legate. Qualcuno forse ricorderà anche il povero Arnold Schwarzenegger in Una promessa è una promessa, alle prese con la ricerca disperata del giocattolo Turbo Man promesso al figlio in un film dai risvolti agrodolci oltre che autoironici per un attore che è stato supereroe praticamente ad ogni film e che dovrà trasformarsi lui stesso in Turbo Man per riconquistare la fiducia del figlio. Il punto è che Nicholson e Schwarrzenegger appartengono alla categoria di persone per le quali una promessa è una promessa, cioè qualcosa che intendono davvero rispettare per evitare che il futuro a suo tempo prospettato deluda coloro a cui l’hanno rivolta.

   Ma sappiamo bene che esistono anche le promesse da marinaio (quella fatte in momenti di difficoltà e pericolo e prontamente dimenticate quando la situazione torna sotto controllo) o le promesse mancate, come quegli atleti per i quali si profetizza un gran futuro e che poi per qualche ragione si perdono. Ma nonostante questo continuiamo ad utilizzare l’espressione ‘promessa’ per indicare persone, situazioni, aziende che hanno appunto una grande potenzialità, che fa sperare ma che non è detto che si realizzi.  

Il perché lo spiega bene Ernst Bloch, autore del celebre ‘Principio speranza’ e padre della ridefinizione moderna del concetto di utopia.  «Nulla può sedurre come l’inizio di qualcosa perché è la promessa assoluta e la consolazione contro il vecchio che non deve restare», scrive Bloch. Ed è per questo che tendiamo a rinnovare le promesse (anche elettorali evidentemente) anche quando tentativi già fatti in questa direzione sono falliti. Nella vita di una coppia, per esempio, si fa continuamente e c’è anche chi, come i Radiohead, ha cantato questa situazione in un brano intitolato appunto ‘I promise’.

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