Un anno prima c’era stata la strage alla stazione di Bologna, il più grave atto terroristico in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale (gli anni di piombo, in genere vengono relegati nei ’70 ma gli attentati e gli omicidi di terrorismo continuarono in realtà fin oltre la metà degli ’80).
Eppure gli italiani nel 1981 erano già nel pieno di quello che venne definito il riflusso, ovvero, a seconda dei punti di vista, un ripiegamento nel privato con il rifiuto dell’impegno politico e dell’ideologia, oppure, più semplicemente, una rinnovata voglia di divertirsi e guardare il mondo con occhi nuovi.
In questo clima arrivò nelle sale italiane, nell’autunno 1981 per rimanerci a lungo, Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta di Steven Spielberg. Un fantasmagorico ritorno al cinema d’avventura, condito da mistero e ironia e riletto alla luce della nuova inclinazione postmoderna, quella cioè che ritiene che tutto sia già stato fatto e che non si possa che rileggere e ‘riaggregare’ dando così nuova vita a materiali già visti.
E in effetti Indiana Jones nasce dalla passione di George Lucas e Steven Spielberg per i serial tv e i fumetti degli anni ’40 nonché per la grande tradizione di Hollywood (Il tesoro della Sierra Madre, per esempio) ma rivisitata alla luce delle possibilità tecniche dell’epoca, con la Industrial Light and Magic di Lucas, e il perfezionismo di Spielberg. Aggiungete località esotiche, l’eterna lotta tra i buoni e i cattivi, un eroe simil-007 diventato rapidamente – è il caso di dirlo – iconico, e il gioco è fatto.
Un gioco che ha fatto incassare al primo capitolo 20 volte quello che era costato, che consacrò Harrison Ford, vinse quattro Oscar, partorì tre seguiti, una serie televisiva, numerosi videogiochi, romanzi e altre opere ispirate a quel clima e a quel personaggio, a cominciare da All’inseguimento della pietra verde di Robert Zemeckis con Michael Douglas. E che fu, a tutti gli effetti, il ‘nonno’ delle attuali produzioni blockbuster ispirate ai fumetti.