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La parola della settimana: 'Libertà/3' (di Massimo Sebastiani)

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Redazione ANSA

Tagliente, netta, perfino ideologica, si potrebbe ironicamente dire con un termine che a lei non sarebbe certamente piaciuto, nel sostenere e difendere la libertà dell’individuo di fronte ad ogni forma di limitazione, in particolare da parte dello Stato, Margaret Thatcher aveva idee molto chiare sull’idea di libertà e soprattutto sull’importanza della libertà economica che per lei è quasi precondizione di ogni libertà politica. ‘Non è possibile mantenere una libertà politica a meno che non si abbia anche libertà economica’, dice infatti nel passaggio di uno dei suoi celebri discorsi, al tempo stesso ironici e violenti contro ogni forma di soppressione e sospensione delle libertà.

Thatcher è stata uno dei politici più influenti e, come si direbbe oggi, inspiring del Dopoguerra, ha dominato, insieme a Ronald Reagan la scena politica dei ruggenti anni ’80, ed è stata soprannominata, per la determinazione con cui ha perseguito i suoi fini politici, ‘Lady di Ferro’, ma la frase che abbiamo citato non è esattamente farina del suo sacco. Il primo a pronunciarla, in termini se possibile ancora più netti, fu un italiano, Luigi Einaudi, l’economista che fu il secondo presidente della Repubblica italiana dal 1948 al 1955. Einaudi è stata in Italia la figura di riferimento di tutti i ‘sinceri liberali’ e liberisti, citato a più riprese e qualche volta a sproposito per nobilitare anche i punti di vista più estremi, in particolare sul tema del liberismo economico.

Gli aggettivi liberale e liberista sono tra i concetti più controversi degli ultimi decenni, un vero e proprio ‘elefante nella stanza’ della parola libertà e dei suoi derivati a cui finora non avevamo accennato. Proprio per questo di recente il sito di informazione Il Post ha sentito il bisogno, prendendo spunto da un articolo pubblicato sul quotidiano Domani, di fare il punto sul concetto di liberale in un articolo intitolato per l’appunto ‘Chi è un liberale, nel 2021’ (senza punto interrogativo e con la virgola prima di ‘nel 2021’).

Sintetizzando molto, la conclusione del Post, che si fa aiutare da Paolo Carusi, docente di Storia dei partiti politici all’Università di Roma Tre, è che alla fine nessuno in Italia è autenticamente liberale anche se i richiami al liberalismo sono continui. Tanto è vero questo, che una posizione analoga, espressa non da un professionista degli studi sui partiti politici ma con ironia raffinata e leggera, era stata espressa oltre 25 anni fa da un intellettuale irregolare parecchio in anticipo sui tempi, Beniamino Placido. Giornalista scrittore, critico televisivo e letterario ma anche, grazie al suo volto da caratterista degli anni ’60, attore a tempo non si sa quanto perso (comparve in Io sono un autarchico e Come parli frate? di Nanni Moretti ma anche in Porci con le ali di Paolo Pietrangeli, Paura e amore di Margarethe Von Trotta e Cavalli si nasce di Sergio Staino).

Placido dedicò uno dei suoi commenti alla confusione e all’abuso che circolavano sul termine liberale intitolato ‘Liberista liberale e vegetale’. Lo spunto più generale era appunto l’affollamento della casella liberale nella quale già in quel momento in tanti, forse in troppi, volevano rientrare tanto da spingere Placido a chiedersi cosa significasse davvero liberale. Trovò un modo spiritoso e irriverente per rispondere, prendendola come sempre apparentemente alla larga (cioè partendo dai dizionari e dalla ricerca delle parole nelle grandi banche dati sorprendentemente, in quel momento, favorita dallo sviluppo delle tecnologia informatica) e citando alla fine un episodio di una campagna elettorale degli anni ’50 in cui il piccolo Partito liberale, glorioso ma sempre molto piccolo, utilizzò per spiegarsi un enorme cartellone con la scritta ‘L’uomo libero è liberale’.

A riprova, secondo Placido, della eccessiva genericità di questa definizione, gli autori furono vittima di una burla che forse spiegava molto: sotto la frase ne comparve un’altra che recitava ‘L’uomo vegeto è vegetale’.

D’altra parte mentre il nostro consueto compagno di strada Friedrich Nietzsche alla fine dell’800 vedeva nella libertà soprattutto la liberazione da una tradizione soffocante, che identificava col sapere accademico (‘Aut liberi aut libri’ era il suo slogan), un’esponente della generazione X come Lapo Elkann oggi, a proposito delle controversie sui diritti gay, si stupisce di come si possano porre limiti alle persone in termini di diritti (‘E’ realmente democratico quel paese in cui tutti i cittadini avvertano di essere veramente liberi’). Ma evidentemente la libertà non è solo aggiornarsi, trasgredire, ribellarsi se un giornale come il Telegraph, conservatore, a proposito della vicenda di Harry e Meghan, ha voluto porre questo interrogativo: ‘Hanno riscritto la favola ma sono davvero liberi?

Su questo ha scritto e cantato parole definitive Giorgio Gaber in una canzone, ‘La libertà’ appunto, che è un po’ come l’aggettivo liberale, molto citata ma non sappiamo quanto realmente metabolizzata.

Giorgio Gaber - La libertà - Da YOUTUBE

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