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La parola della settimana è 'compromesso' (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è 'compromesso' (di Massimo Sebastiani)

25 luglio 2020, 17:25

Redazione ANSA

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La parola della settimana: compromesso - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana: compromesso - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana: compromesso - RIPRODUZIONE RISERVATA

Irriverenti, cinici e dichiaratamente blasfemi, i Monty Python, un nome nato casualmente e per compromessi successivi, danno un’idea davvero grottesca di una trattativa e del suo punto di arrivo finale in una delle molte scene divertenti di Brian di Nazareth, il film del 1979 (da noi si è potuto vedere solo nel 1991 a causa di un nudo integrale maschile), prodotto da George Harrison, che ha per protagonista un uomo nato e vissuto nello stesso momento e nello stesso luogo di Gesù.

 Ascolta "La parola della settimana: compromesso (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.

Nello stile caotico e ribelle, che esalta l’assurdo, tipico dei Python, in cui si mescolano Nuovo Testamento e Guerre stellari, si confrontano un Brian in fuga, costretto a nascondersi dai romani che vogliono catturarlo, e un mercante (un cameo dello stesso Harrison) che non concepisce vendita senza una trattativa serrata. Il compromesso da brivido (solo per Brian che ha una fretta pazzesca) si trova a 16, partendo da un prezzo ufficiale di 25.

Con un filo di razzismo (nel doppiaggio italiano il mercante ha un accento improbabile, che lo colloca genericamente a sud), i Python irridono le finte trattative, quelle in cui il compromesso finale è già chiaro nelle mente di almeno uno dei due contraenti.

Da Nazareth a Bruxelles ci sono parecchi chilometri e alcune migliaia di anni ma la sostanza non è molto diversa: qualunque cosa si voglia pensare dell’accordo sul Recovery Fund, faticosamente raggiunto dai 27 stati europei, nessuno può dubitare che si tratti di un compromesso.

Come è normale e anche sano che accada quando si parte da almeno due fronti contrapposti e con decine di attori coinvolti. La parola compromesso non ha, come ormai siamo abituati a scoprire, un significato univoco. Il primo, che è soltanto decisamente negativo, fa riferimento ad una situazione di rischio e di danno (un organo compromesso, una reputazione compromessa) e deriva dal francese compromis.

Il secondo, che fa riferimento ad un accordo, ad una transazione, ad una mediazione che può lasciare anche insoddisfatti (venire a compromessi con la propria coscienza, per esempio), ha un’origine latina: da cum e promissus, cioè obbligato insieme, promesso insieme. Sullo sfondo di questa etimologia ci sembra quasi di vedere una stretta di mano che anche figurativamente ci rimanda all’idea di due soggetti lontani che si avvicinano, più o meno a metà strada (ma dipende da dove sono partiti rispettivamente), fino a toccarsi e a promettersi fedeltà all’accordo. Anche in questo caso però l’accento negativo tende a prevalere e a mettere in ombra quell’elemento, nobile e solenne, di promessa, di patto che include un progetto e quindi uno sguardo sul futuro (da ora in poi…). Questo elemento negativo prevale perché per molti percorrere anche solo un piccolo tratto di strada per andare verso l’altro è una perdita d’innocenza o per meglio dire di (presunta) purezza.

Se ci muoviamo, in sostanza, ci stiamo modificando. Ma, come ha insegnato un grande e autentico liberale, Isaiah Berlin, in un mondo in cui le pluralità convivono e devono farlo, muoversi non è solo indispensabile, è un vero e proprio destino. Senza compromessi, da questo punto di vista, non ci alzeremmo nemmeno dal letto la mattina e questo è uno dei risultati più caratteristici della modernità che si distingue, tra le molte altre cose, per aver demolito il tempio dell’ideale platonico, quello che si regge, come ha spiegato Salvatore Veca nel capitolo sull’Incompletezza del suo Dizionario minimo, su tre pilastri: l’idea di una sola verità, di un solo metodo per raggiungerla, e della compatibilità assoluta delle soluzioni. E’ dice, Veca, il sogno ricorrente del monismo, cioè di una realtà ricondotta ad un unico principio. ‘Il compito di un partito veramente rivoluzionario non consiste nel proclamare un’impossibile rinuncia a qualsiasi compromesso ma nel saper conservare, attraverso tutti i compromessi inevitabili, la fedeltà ai principi’ : la frase non è del nostro Enrico Berlinguer, che pure ha consegnato alla storia italiana il compromesso forse più noto, quello ricordato appunto come ‘compromesso storico’ tra Dc e Pci, ma di uno che di rivoluzioni se ne intendeva, Vladimir Ilic Ulianov, ovvero Lenin. Non è affatto raro venire a patti con la propria coscienza anche (anzi proprio) sulle cose cui teniamo di più, come il desiderio e l’amore per qualcuno. Ce lo spiega Edoardo Bennato nella canzone ‘Facciamo un compromesso’. 

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