Richiamati in ufficio per emettere passaporti, con la motivazione che tanto l'80% della popolazione è destinata a contagiarsi comunque col coronavirus; e non potrà "nascondersi per sempre". E' polemica nel Regno Unito su un dipartimento del ministero dell'Interno, la cui funzionaria responsabile, con il sostegno di un consulente scientifico, ha sollecitato in meeting in videoconferenza parte dello staff a tornare al lavoro in sede, in questi termini brutali, giudicando essenziale l'attività di rilasciare passaporti, di fronte alla crescita di richieste di rinnovo o di rilascio inevase.
La vicenda è stata denunciata da vari testimoni e documentata in un'inchiesta della Bbc. La dirigente, Myrtle Lloyd, che sovrintende a sette sedi in altrettante città del Regno, ha sostenuto durante la video-riunione svoltasi martedì 7 aprile che le linee guida governative sul lockdown non prevedrebbero per i dipendenti pubblici di restare a casa se questo impedisse di garantire "servizi cruciali" ai cittadini. E l'accademico Rupert Sutte, vice-consigliere scientifico del dicastero, l'Home Office, le ha dato manforte affermando che non è detto che in ufficio, con le opportune cautele sul 'distanziamento', il pericolo sia maggiore rispetto a casa; non senza aggiungere sbrigativo che tanto "l'80% di noi prenderà il virus comunque, se non l'ha già preso, e non possiamo nasconderci per sempre".
Parole che un dirigente sindacale, Mark Serwotka, ha bollato come "assolutamente scandalose". E a cui alcuni impiegati hanno risposto accusando la Lloyd di voler mettere "a rischio" le loro vite. Un portavoce del ministero ha da parte sua assicurato che l'Ufficio Passaporti lavora - come gli altri dipartimenti - con personale ridotto al minimo e "rispetta pienamente" le restrizioni imposte dal governo per l'emergenza coronavirus. Ma non ha smentito i dettagli della ricostruzione.