L'uno è epidemiologo di fama mondiale, somma autorità sanitaria del Regno Unito e consulente scientifico di punta di Boris Johnson. L'altro dirige una delle riviste mediche più prestigiose al mondo, il Lancet. Sono il professor Chris Whitty e il dottor Richard Horton, divisi sul fronte dell'emergenza coronavirus come fossero su un ring.
In effetti a indossare i guantoni della polemica è stato solo Horton, durissimo contro la strategia iniziale, i ritardi imputati al governo Tory (e indirettamente ai suoi consiglieri); Whitty ha continuato a parlare invece col tono pacato di chi ha responsabilità e poteri pubblici nelle sole sedi istituzionali.
Difficile immaginare due personalità più dissimili. Horton, 58 anni, studi in medicina a Birmingham, esperienze in corsia al Royal Free Hospital di Londra, deve la sua fama più al giornalismo scientifico che al camice. Arrivato giovanissimo alla direzione del Lancet, ne ha fatto anche una tribuna di denuncia su temi di politica sanitaria e internazionale.
Oppositore militante della guerra in Iraq (additò Tony Blair e George W. Bush come "killer di bambini"), si è caratterizzato fin da subito sul dossier Covid-19 come un fustigatore della linea originariamente gradualista del governo Johnson: accusato d'aver ignorato il precedente italiano, tardato a seguire le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), di non avere anticipato lo sforzo eccezionale necessario per equipaggiare gli ospedali dell'Nhs britannico. Vari medici sono d'accordo con lui; altri ricordano come la vis polemica lo abbia trascinato in passato verso scivolate imbarazzanti: in primis l'aver ospitato sul Lancet senza pentirsi una famigerata, infine screditata ricerca che metteva in relazione vaccini e autismo.
Whitty, viceversa, è l'emblema della discrezione. La sua vita personale è pressoché ignota, le prese di posizione extra ufficiali di fatto inesistenti. C'è chi gli rimprovera di aver sposato a un certo punto la scommessa d'una qualche prospettiva di 'immunità di gregge' per fronteggiare il coronavirus, anche se in effetti a citarla, senza teorizzarla, è stato un altro consigliere, né lui né il premier l'hanno mai evocata. Ma la sua competenza è fuori discussione: 53 anni, studi a Oxford, è stato direttore della celeberrima London School of Hygiene & Tropical Medicine e coordinatore nel Regno della battaglia contro il micidiale virus Ebola, per poi diventare Chief medical officer of England nel 2019. Fra i colleghi è considerato un luminare; "un genio", scrive il divulgatore Phil Clarke. Anonimo nell' apparenza, pare abbia solo un debole, per i romanzi gialli: come racconta chi l'ha visto anche in questi giorni difficili - prima d'esser costretto a isolarsi contagiato a sua volta dal Covid-19 - con in mano non un testo medico o un rapporto, ma una copia di The Accident. Thriller commerciale, chissà quanto rilassante, dello scrittore e umorista canadese Linwood Barclay.