Le richieste di aiuto statale da per i comparti produttivi si stanno facendo sentire in tutto il mondo e nei più disparati settori, incluso uno emarginato ma corposo: le lavoratrici del sesso in Sudafrica.
Due associazioni, la "Sex Workers Education and Advocacy Taskforce" (Sweat) "Sisonke" ("the National Movement of Sex Workers") hanno emesso una dichiarazione per esortare il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ad includere le prostitute in un appena annunciato programma di "aiuto temporaneo per i dipendenti".
"Il sesso è lavoro e anche loro hanno bisogno di aiuto dal momento che i loro mezzi di sostentamento sono stati bloccati", hanno sostenuto le due associazioni riferendosi a "un drastico calo della clientela" causato dalla pandemia, riferisce il sito sudafricano News24.
Lunedì Ramaphosa aveva annunciato una chiusura delle attività non essenziali del Paese di 21 giorni e l'esortazione a restare a casa proprio al fine di arginare la diffusione del virus, mettendo nei guai però decine di migliaia di operatrici (e operatori) del sesso e loro familiari o cari.
Secondo uno studio del 2013, ricorda il sito, il Sudafrica ha circa 158 mila "lavoratori" in questo settore, in maggioranza donne, che mantengono fino a sette persone con le loro prestazioni.
L'attività è ancora criminalizzata ma c'è un progetto di riforma della legislazione che le due associazioni chiedono a Ramaphosa di far accelerare, anche per consentire l'accesso al sussidio di disoccupazione "Uif". Ma intanto Sweat e Sisonke hanno lanciato un numero verde per le prostitute in difficoltà.