Nella geografia delle alleanze europee di fronte al ciclone Donald Trump, Giorgia Meloni, al momento, è la leader che può giocarsi la carta più solida: quella dell'amicizia con il presidente americano unita al fatto che governa un Paese che rappresenta la terza economia dell'Ue. Da settimane la premier predica la necessità del pragmatismo nei rapporti con gli Stati Uniti e Roma ha già evocato la strategia del 'buy american' per giungere ad un'intesa.
Ma, con il susseguirsi degli attacchi da Washington, il richiamo alla prudenza di Meloni rischia di essere meno ascoltato. Nelle principali cancellerie europee cresce la consapevolezza che solo una riposta netta e unita agli eventuali dazi americani può avere una qualche efficacia. Ed è una risposta dalla quale l'Italia non potrà comunque esimersi. In una potenziale guerra commerciale, infatti, c'è una differenza fondamentale che Palazzo Chigi dovrà tener presente.
L'imposizione delle tariffe da parte di Trump può danneggiare alcuni Paesi più di altri, a seconda del tipo di prodotto coinvolto. Trump, in teoria, potrebbe quindi decidere di colpire i beni di Paesi che considera suoi avversari, risparmiando quelli originari degli Stati più amici, come l'Italia. Ma l'eventuale contrattacco di Bruxelles, con l'imposizione a sua volta di dazi ai prodotti americani, coinvolgerebbe comunque tutte e 27 le capitali. Nessuno può sfilarsi, anche perché è una decisione che, Trattati alla mano, spetta solo alla Commissione. E nella direzione generale Trade di Palazzo Berlaymont, in queste ore, i funzionari comunitari stanno affannosamente preparando i modelli da seguire in caso di guerra commerciale con gli Usa, finora solo minacciata. La posizione di Meloni ha poi un nodo politico. Non tutti sono convinti che sia lei la migliore interlocutrice degli Usa a nome dell'Europa. Un po' per il protagonismo di alcuni leader. Un po' per lo scetticismo che, tra i partiti più europeisti - liberali e socialisti in primis - ancora serpeggia sulle politiche della destra italiana.
"Mi chiedo se Giorgia Meloni si sia chiesta cosa ci faceva da sola da Trump, perché è evidente che tra essere amici ed essere funzionali a un disegno di disgregazione dell'Europa il passo è breve", è stato l'attacco recapitato da Elly Schlein dopo la riunione dei Socialisti che ha preceduto il vertice Ue al Palais D'Egmont. "Chi vuol fare l'interesse dell'Italia oggi deve puntare all'unità europea", ha aggiunto la leader del Pd.
La riunione, nella mattinata, si è concentrata tutta sul dossier Trump. E, a testimonianza dell'urgenza del tema, ai leader che non hanno avuto il tempo di intervenire è stata data la possibilità di farlo nella sessione pomeridiana, tutta teoricamente dedicata alla difesa. Al tavolo Meloni ha trovato un'Europa più indispettita che mai nei riguardi del presidente americano. Parigi e Berlino non la vedono esattamente come Roma a riguardo. Piuttosto, la posizione dell'Italia si avvicina a quella di Polonia, nordici e Baltici, più che mai intenzionati a limitare le ire di Trump per non perdere il sostegno americano all'Ucraina. E' questa, soprattutto, la fronda che spinge per comprare più Gnl e più armi all'America, andando così incontro alle richieste del leader Usa di accordi commerciali più equi. Solo nei prossimi giorni, tuttavia, i nodi verranno al pettine. Meloni starebbe programmando di essere ricevuta alla Casa Bianca a breve termine. Ursula von der Leyen, allo stesso tempo, non ha mai nascosto la volontà di incontrare il presidente americano. Ma tra la fitta agenda della presidente della Commissione e i contatti finora molto scarni tra Bruxelles e Washington un bilaterale tra i due nelle prossime settimane appare difficile. E' probabile, allora, che prima di Trump von der Leyen veda Narendra Modi in India, dove la Commissione si recherà a fine febbraio, in una mossa che fa parte della risposta più complessiva al tycoon americano.
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