(di Alberto Zanconato)
(ANSA) - ROMA, 23 APR - Sono gli anni '90 e la Russia è allo
sbando: gente che muore letteralmente di fame, oligarchi che si
impadroniscono per quattro soldi delle imprese di Stato,
terrorismo diffuso e criminali che sparano nelle strade di
Mosca. Due uomini si incontrano alla Lubyanka, sede del
disciolto Kgb. Uno è Vladimir Putin, diventato capo del nuovo
servizio d'intelligence, l'Fsb. L'altro è il monaco Tikhon,
arrivato da Pskov per riaprire il monastero Sretensky, nel
complesso appartenuto ai servizi segreti sovietici. Tikhon
diventa la guida spirituale del futuro presidente e lo convince
alla conversione. Da questa alleanza prenderà forma l'idea di
rifare grande la Russia in opposizione alla globalizzazione e
all'invasione dei valori occidentali.
In quell'incontro possono essere ritrovate in parte anche le
origini dell'invasione dell'Ucraina, osserva don Stefano Caprio,
docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto
Orientale di Roma, che per 13 anni è stato missionario a Mosca.
Fin da seminarista Caprio si occupa di Russia e ha incontrato
spesso il Patriarca Kirill. A suo parere l'influenza più forte
sul leader del Cremlino non è quella del capo della Chiesa
ortodossa, ma dell'ala più estremista, quella monastica
rappresentata da Tikhon (al secolo Georgy Shevkunov). Quella che
crede nella necessità di "difendersi dall'Anticristo
occidentale". Quella che vede come indissolubilmente legate la
potenza russa e la missione di Mosca come Terza Roma.
"Con questa guerra - osserva Caprio - Putin rischia di
distruggere tutto quello che ha fatto per la Russia negli ultimi
20 anni. L'unica spiegazione è che creda veramente nella sua
missione di affermare la grande idea russa. Che si sia voluto
mettere allo stesso livello di Stalin, o di Ivan il Terribile".
In tutto questo, qual'è il ruolo di Tikhon? "Durante i viaggi di
Putin in Russia a all'estero, fin da quando era a capo dell'Fsb
e poi primo ministro, il monaco appare al suo seguito. Nel 1999
convince anche Putin, a quel tempo premier, a far approvare una
legge che vietava la vendita di alcolici dopo le 23. E che viene
presentata in Parlamento dal nuovo Partito comunista di Gennady
Ziuganov". L'azione congiunta di marxisti e ortodossi non deve
stupire. "Tikhon - sottolinea Caprio - è riuscito a dimostrare a
Putin che il ritorno all'ortodossia non avrebbe rinnegato il
passato sovietico".
Potenza russa e difesa della fede diventano una sola cosa. E'
una storia antica. "Ivan il Terribile, il primo ad essere
chiamato Zar, cioè Cesare - ricorda Caprio - fu incoronato nel
1547 in una cerimonia in cui indossava le vesti imperiali ed
episcopali. A guidarlo era il metropolita Makary. Nel 1612 il
Patriarca Filarete fece nominare Zar il figlio Mikhail Romanov,
governando poi con lui per 20 anni". Fu l'atto di fondazione
della dinastia Romanov, rimasta alla guida della Russia fino
alla rivoluzione del 1917. L'avvento del comunismo non cancellò
del tutto le antiche tradizioni. "Nel 1941, quando i nazisti
invasero l'Unione Sovietica, Stalin rimise in piedi la Chiesa
perché sostenesse lo spirito patriottico. Del resto da giovane
era stato seminarista, sognando di diventare Patriarca. Questa
politica prosegue negli anni di Breznev. La crisi arriva con la
caduta dell'Urss. La Chiesa ortodossa è vista come
collaborazionista del passato regime. Ma nel 1997 una legge
sancisce la supremazia ortodossa sulle altre religioni".
Nel 2000, durante un Sinodo dei vescovi riunito a Mosca -
dove si decide tra l'altro la canonizzazione dell'ultimo Zar,
Nikola II - viene approvato un documento intitolato 'Dottrina
sociale della Chiesa ortodossa'. "Una dottrina - afferma Caprio
- ispirato da Kirill, a quel tempo metropolita di Mosca, e che
diventerà la base del programma politico di Putin, che
quell'anno sale alla presidenza. Il suo è quello che possiamo
chiamare il sovranismo ortodosso: La Russia non accetterà di
sottoporsi alla globalizzazione guidata dall'Occidente e ai suoi
valori". Ma mentre Kirill, diventato capo della Chiesa nel 2009,
cercherà di mantenere posizioni più moderate (rifiutando ad
esempio di partecipare alle celebrazioni per l'annessione della
Crimea nel 2014), il mondo monastico intransigente influenza
sempre di più Putin, chiedendogli di fronteggiare con maggior
vigore "l'Anticristo occidentale". Dietro alla guerra in
Ucraina, dunque, c'è anche l'ombra del monaco Tikhon. (ANSA).