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Uscita dalla porta la crisi rischia di rientrare dalla finestra

Uscita dalla porta la crisi rischia di rientrare dalla finestra

Il colpo di autorità del Premier 'escamotage' a tempo

ROMA, 24 aprile 2014, 08:29

Pierfrancesco Frerè

ANSACheck

Fedele al cliché dei rilanci, Matteo Renzi promette di mettere presto in agenda il taglio delle tasse per pensionati e partite Iva. Tuttavia i centristi, per bocca di Andrea Romano di Scelta civica, lo avvertono che la ''fiducia forzata'' ottenuta dal governo sul decreto lavoro non può essere considerata un successo.

    Che significa? Semplicemente che Ncd, Udc e Sc sono stati costretti dal colpo di autorità del premier a rinfoderare le sciabole perché una crisi sulla riforma del lavoro sarebbe stata impensabile (e incomprensibile per l'opinione pubblica), ma che la partita non è chiusa: riprenderà al Senato per ridimensionare le pretese del ''partito della Cgil'', cioè della minoranza democratica che è riuscita ad approvare alcuni emendamenti chiave sul provvedimento.

    Questo è per l'appunto il limite maggiore della politica dei rilanci: ogni mano non può dirsi davvero chiusa, non almeno fino a quando non intervenga un voto finale del Parlamento.
    Ciò lascia obiettivamente uno spazio agli alleati in agitazione (Alfano dice che l'esecutivo non corre rischi ma che non si può accettare il freno posto dalla sinistra a Renzi), ai malumori che serpeggiano nel Pd e alle incursioni dell' opposizione.

    Un esempio è l'avvertimento lanciato in commissione Affari costituzionali di palazzo Madama dagli azzurri Romani e Bruno: Forza Italia è pronta a votare per un Senato elettivo, sebbene ciò sia contrario al patto del Nazareno, perché ci sarebbe ormai una maggioranza trasversale in tal senso. Sembra più fuoco di sbarramento contro una cavalcata trionfale del Rottamatore che reale intenzione politica: Romani precisa infatti che il suo partito manterrà comunque i patti se Renzi dimostrerà di controllare i suoi (cioè quel gruppo di senatori che appoggia la proposta Chiti per un Senato elettivo); e soprattutto che potrebbe essere necessario un nuovo incontro (il terzo) tra il premier e Berlusconi.

    In realtà la situazione dei renziani non sembra così drammatica: il capogruppo dei senatori democratici, Luigi Zanda, ha proposto di adottare come testo base della discussione delle riforme quello del governo. E non bisogna dimenticare l'appoggio del Quirinale ad un corso rapido di riforme tante attese. Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini parla però della necessità di trovare entro maggio una ''soluzione politica'' sul punto che è il cuore della riforma (il Senato non elettivo), anche se ciò dovesse comportare un lieve slittamento dei tempi: segno che molte carte sono ancora da giocare e che tutti i gruppi hanno bisogno della propria visibilità. In questo quadro, un terzo incontro tra il Rottamatore e il Cavaliere presenta molte difficoltà: potrebbe dare l'impressione che a decidere le sorti della Costituzione siano solo due persone, il che sarebbe inaccettabile per tutti, e rappresentare uno specie di spot per il capo della destra in difficoltà.

    In Forza Italia proseguono infatti gli smottamenti. La lettera di Sandro Bondi alla Stampa non mette solo sotto accusa la linea politica del movimento, ormai in mano agli oltranzisti (come dimostra l'addio di Paolo Buonaiuti, storico portavoce di Berlusconi, passato al Ncd), ma anche l'assenza di una strategia per il futuro. Il fatto che il dopo Berlusconi si sia aperto con Berlusconi ancora al timone e privo di eredi rappresenta un problema politico che colpisce l'elettorato moderato: non sembra che l'emorragia di consensi segnalata dai sondaggi possa essere fermata dalla linea euroscettica, né dal ritorno in campo del leader carismatico. Serve qualcosa di più: come dice Gianfranco Rotondi, Bondi non è un peone ma la storia del berlusconismo e la sua sortita deve indurre a riflettere tutta Forza Italia.

    Intanto Renzi ribadisce che saranno rispettati i vincoli Ue e la propria volontà di rilanciare l'economia: solo un comico milionario che non deve vivere con 1.200 euro al mese, polemizza, può dire che 80 euro in più sono una presa in giro.

    Sul punto Beppe Grillo non risponde direttamente. La sua critica punta piuttosto al bersaglio grosso: la riforma del Senato di Renzi, sostiene, è uguale a quella proposta dalla P2 di Licio Gelli. A suo avviso dunque il premier è complice di un disegno massonico ordito insieme a Berlusconi.
   

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