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Isis diffonde un video in cui vengono distrutti statue e bassorilievi antichi a Mosul

Dopo il rogo di biblioteche e libri, fatti a pezzi luoghi di culto e mura dell'antica Ninive.

Statue e bassorilievi antichi abbattuti da uomini  barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. E' questo l'ultimo video diffuso dall'Isis a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto, dare alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l'antica capitale assira alla periferia dell'odierna Mosul.

Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Ninive. Durante il video, che dura cinque minuti, ci si sofferma sui cartelli in arabo e in inglese che illustrano i manufatti esposti. Tra le statue distrutte ne figura in particolare una di un toro alato che rappresenta l'antica divinità mesopotamica di Nergal. L'Isis segue una dottrina fondamentalista sunnita secondo la quale e' vietata qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei.

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Sono 15.500 foreign fighters, 50 gli italiani
L'Isis dispone di circa 15.500 foreign fighters, di cui 50 italiani, che danno supporto "fisico e monetario" all'organizzazione, sia raccogliendo direttamente denaro nei Paesi d'origine prima di partire, sia beneficiando di finanziamenti delle diaspore. Lo afferma un rapporto della Financial action task force sul riciclaggio di denaro,Fatf-Gafi. Il bisogno di ampi finanziamenti per soddisfare le necessità organizzative e di governance rappresenta una vulnerabilità per la struttura dell'Isis"

 Jihadi John, il boia più ricercato del mondo

Ieri è stata rivelato il nome del boia dello Stato Islamico comparso in numerosi video in cui vengono giustiziati ostaggi occidentali, a cominciare dal reporter americano James Foley. E' il boia dell'Isis piu' ricercato al mondo, fino a ieri solo una maschera nera dietro le decapitazioni di tutti gli ostaggi stranieri dello Stato islamico. Oggi 'Jihadi John', il leader del gruppo di assassini che in Siria si fanno chiamare i Beatles, ha un nome e una storia, simile a quella di tanti altri 'terroristi della porta accanto' che i radar dell'intelligence britannica e internazionale hanno solo intravisto ma non sono riusciti a fermare prima che potessero compiere i loro atti di violenza. 'Jihadi John' si chiama in realta' Mohamed Emwazi, nasce in Kuwait nel 1988 e a sei anni si trasferisce a Londra. Famiglia agiata della media borghesia, cresce con un fratello e due sorelle in un tranquillo quartiere nell'ovest della capitale e si laurea in informatica all'universita' di Westminster. Fin qui la storia di un ragazzo musulmano come tanti, che ogni tanto frequentava la moschea di Greenwich e conduceva una vita tranquilla in una tipica casa di mattoni rossi, dove oggi non si e' visto entrare ne' uscire nessuno. Una famiglia "per bene", dicono i vicini, ma che "si teneva in disparte". E' nel 2009, dopo la laurea, che comincia a cambiare qualcosa. Emwazi organizza un viaggio in Tanzania con due amici, un tedesco convertito all'Islam di nome Omar e un certo Abu Talib, ma appena arrivati all'aeroporto di Dar es Salaam vengono arrestati e rispediti in Gran Bretagna. Sulla via del ritorno, ad Amsterdam, Jihadi John viene fermato per la prima volta dai servizi segreti britannici che stanno indagando sul gruppo terroristico somalo Al-Shabaab. Gli agenti del MI5 lo accusano di volersi unire agli affiliati di Al Qaida ma poi lo rilasciano. Da allora, gli 007 cercano di reclutarlo come informatore, secondo quanto lui stesso ha raccontato al gruppo di attivisti musulmani britannici Cage che da anni porta avanti una battaglia contri presunti abusi e incarcerazioni sommarie ai danni di musulmani innocenti. Emwazi contatta l'associazione nell'estate del 2009 e racconta di essere stato "maltrattato" dagli 007 che "sapevano tutto di lui". I rappresentanti di Cage, che hanno ricordato il 'Jihadi John' dell'epoca come "una persona estremamente gentile e umile", hanno oggi tuonato contro i servizi segreti internazionali. "Se le persone vengono trattate da outsider, si comporteranno da outsider", ha dichiarato il direttore dell'associazione, Asim Qureishi, suscitando le proteste di altre associazioni che considerano Cage un'entita' ambigua e controversa. Un anno dopo, nel 2010, Emwazi torna in Kuwait per cercare un lavoro come informatico ma al suo ritorno a Londra viene arrestato di nuovo dalla polizia anti-terrorismo britannica che lo inserisce nella sua lista nera e gli leva il passaporto. Nel 2013 prova di nuovo a partire per il Kuwait, poi di lui si perdono le tracce. La famiglia ne dichiara la scomparsa e quattro mesi dopo la polizia comunica ai parenti che si trova in Siria. Passa solo un anno e Mohamed diventa 'Jihadi John', il boia sanguinario che nell'agosto del 2014 spezza la vita di Sotloff. E poi di David Haines, Alan Henning, Peter Kassig, Haruna Yukawa e Kenji Goto. La ricostruzione di Cage non ha trovato riscontri ufficiali, tuttavia la commissione parlamentare per la sicurezza britannica, l'equivalente del Copasir in Italia, ha aperto un'inchiesta. Perche' gli agenti del MI5 erano in contatto con un sospetto terrorista? E, soprattutto, perche' non lo hanno fermato? Downing Street e Scotland Yard non hanno confermato ne' smentito l'identita' di 'Jihadi John, ma secondo alcune fonti, e' nota alla polizia da settimane. Il premier David Cameron ha espresso preoccupazione per la fuga di notizie. ''E' assolutamente necessario permettere alla polizia e alle agenzie di sicurezza di fare tutto il possibile per assicurare alla giustizia i responsabili e proteggere i cittadini''. Nessuna conferma ufficiale neanche dalla Casa Bianca ma la famiglia di Sotloff, si e' detta "sollevata dalla notizia" e si augura "di vedere presto il terrorista condannato per i suoi reati da un tribunale. Questo e' il modo in cui si fa negli Stati Uniti". Diversa la reazione della figlia di Haines, Bethany: "sarà veramente finita quando (Jihadi John) avrà una pallottola in fronte".

 

L'Isis ha ucciso i primi cristiani rapiti in Siria, nel governatorato di Hassake, al confine Nord-orientale con l'Iraq. L'archimandrita Emanuel Youkhana, che lunedì scorso riferì del rapimento, dà notizia ad Aiuto alla Chiesa che soffre dell'uccisione di 15 persone fra gli ostaggi: "Molti di loro - afferma Youkhana - stavano difendendo i loro villaggi e le loro famiglie". Nel villaggio di Tel Hormidz una donna è stata decapitata, mentre due uomini sono stati uccisi con colpi di arma da fuoco. Per ora non ci sono informazioni circa le esecuzioni subite dalle altre dodici vittime. L'archimandrita Youkhana, inoltre, informa che il numero dei rapiti è salito a circa 350. Oltre alle centinaia di persone menzionate la volta scorsa, parliamo di altri 80 abitanti del villaggio di Tel Jazira, 21 di Tel Gouran, 5 di Tel Feytha e 3 di Qabir Shamiya. Quasi tutti sono tenuti ostaggio nel villaggio sunnita di Um Al-Masamier. Altre 51 famiglie, "con circa 5 componenti a testa", come riferisce Youkhana, sono state rapite a Tel Shamiram; ma di queste non si conosce la posizione precisa: "Non sappiamo - continua l'Archimandrita - dove siano tenute in ostaggio. È probabile che siano stati portati nella regione del Monte Abdul Aziz, controllata dallo Stato Islamico". Una fonte non confermata riferisce che si prepara, per venerdì 27 febbraio, un'esecuzione di massa nella Moschea di Bab Alfaraj, villaggio sunnita della zona. Nei 35 villaggi cristiano-assiri non è rimasto più nessuno: coloro che sono riusciti a scappare lo hanno fatto verso la regione di Hassake o verso Qamishli: "Le famiglie sfollate - riferisce Youkhana - sono 800 ad Hassake e 175 nel Qamishli".

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