Grattacapi a sinistra per il Labour
neomoderato di sir Keir Starmer, stra-favorito sui Tories di
Rishi Sunak in vista delle elezioni politiche anticipate
britanniche del 4 luglio, ma costretto dal sistema uninominale
secco in vigore nel Regno a giocarsi collegio per collegio la
partita: con l'obiettivo di una maggioranza assoluta che - se
non fosse netta - si trasformerebbe in un mezzo flop,
pronostici alla mano. A creare qualche problema c'è infatti la
concorrenza di candidati progressisti, pronti a correre da soli,
tra i Verdi o sotto le insegne di formazioni minori in polemica
con la svolta centrista starmeriana.
Il caso più clamoroso è quello di Jeremy Corbyn, 75 anni
fra due giorni e predecessore di Starmer alla guida del Labour,
che ha formalizzato oggi con un video su X la decisione di
presentarsi "da indipendente" - contro il suo ormai ex partito -
per difendere il seggio di deputato a Islington North: collegio
londinese laddove resta popolarissimo - a dispetto della pesante
sconfitta subita dal partito sotto la sua leadership alle
elezioni del 2019 - e di cui è rappresentante eletto in
Parlamento da 40 anni.
Buttato fuori senza troppe remore un paio di anni fa da sir
Keir - suo ex ministro ombra fra il 2015 e il 2019 - con
l'accusa di non aver fatto autocritica per le infiltrazioni di
antisemitismo nel partito, Corbyn ha sempre respinto queste
contestazioni come false e strumentali, sfruttate per una sorta
di purga della sinistra interna. E oggi ha confermato la rottura
definitiva, rivendicando una piattaforma radicale e pacifista su
politica estera, economia, welfare, transizione verde: tutti
temi sui quali a Starmer vengono rinfacciate posizioni moderate
o addirittura - come nel caso della guerre fra russo-ucraina e
israelo-palestinese - pressoché indistinguibili dai rivali Tory
di Sunak.
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