Processo d'appello al via, dinanzi
all'Alta Corte di Londra, sul ricorso presentato dalle autorità
di Washington contro la decisione di primo grado con cui la
giustizia britannica ha negato nel gennaio scorso l'estradizione
del cofondatore australiano di WikiLeaks Julian Assange verso
gli Usa. In agenda sono previste due udienze, oggi e domani,
mentre per il verdetto finale ci potrebbero volere diverse
settimane se non mesi: fino a un termine massimo indicato dai
media entro Natale o ai primi di gennaio.
Fuori dall'aula si sono riuniti stamattina diversi attivisti
per invocare che il 50enne australiano - detenuto in attesa
d'una decisione nel carcere di massima sicurezza inglese di
Belmarsh ormai da due anni, pur non avendo più alcuna pendenza
penale nel Regno Unito, dopo i 7 trascorsi da rifugiato
nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra e la successiva scelta di
Quito di scaricarlo di fronte alle pressioni americane - non
venga estradato oltre Oceano e sia liberato. Tanto più -
sottolineano i suoi avvocati, la sua compagna Stella Morris e i
collaboratori di WikiLeaks - dopo quanto si è appreso di recente
sui piani che la Cia avrebbe predisposto nel 2017, sotto la
presidenza di Donald Trump e la guida di Mike Pompeo, per rapire
Julian quando ancora si trovava nell'ambasciata ecuadoriana;
senza escludere di poterlo assassinare.
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