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Birmania, venerdì vertice straordinario delle Nazioni Unite sui diritti umani

Sulle "implicazioni per i diritti umani della crisi in Myanmar". Continua ad essere alta la tensione nel Paese. Continua ad essere alta la tensione nel Paese, nel quarto giorno consecutivo di proteste contro il golpe.

 Le forze armate birmane hanno fatto irruzione nel quartier generale del partito di Aung San Suu Kyi a Yangon. Lo ha denunciato lo stesso movimento, la Lega nazionale per la democrazia. "La dittatura militare ha fatto irruzione e distrutto il quartier generale della NLD intorno alle 21.30", è stato scritto sulla loro pagina Fb.

Per il quarto giorno consecutivo una moltitudine di persone è scesa per le strade della Birmania per protestare contro il colpo di stato di una settimana fa, sfidando un nuovo divieto dell'esercito a manifestare a Yangon, Mandalay e nella capitale di Naypyidaw. 

Le forze di sicurezza birmane hanno sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro i manifestanti anti-golpe. Lo hanno riferito testimoni all'Afp, aggiungendo di aver visto alcune persone ferite. Non è chiaro quante persone siano state soccorse, anche perchè, secondo la stessa fonte, almeno un ospedale di Naypyidaw, la capitale, non avrebbe permesso ai familiari di vedere i congiunti. A Mandalay, la seconda città del Paese, la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha condannato in una nota l'uso della forza contro i manifestanti in Birmania.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite terrà una sessione straordinaria il 12 febbraio sulle "implicazioni per i diritti umani della crisi in Myanmar". La richiesta di una riunione d'urgenza era stata avanzata ieri dall'Unione europea e dalla Gran Bretagna. Solo due giorni fa il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, aveva esortato il Consiglio a tenere una sessione speciale "immediata" sul "peggioramento della crisi" in Myanmar.

Minacce di una repressione armata, idranti sparati sulla folla nella capitale, la legge marziale nella seconda città più popolosa del Paese: in Birmania il regime golpista fa capire di essere pronto a usare la forza, ma nel Paese le manifestazioni di protesta contro il colpo di stato di una settimana fa diventano ogni giorno più grandi. Da una parte un esercito abituato a comandare, dall'altra una risposta popolare che i generali probabilmente non avevano messo in conto: due forze contrapposte che fanno aumentare il rischio di violenze con il passare delle ore. 

La Birmania ha respinto la richiesta Usa di parlare alla leader del paese Aung San Suu Kyi. Lo ha reso noto il portavoce del dipartimento di stato Usa Ned Price nel briefing con la stampa.

E in centinaia di migliaia sono scesi nelle strade di Yangon, l'ex capitale, in scia ad altre imponenti manifestazioni degli ultimi due giorni. Ma altre proteste si sono viste a Mandalay, nonostante la proclamazione della legge marziale con coprifuoco notturno, e persino nella vasta capitale Naypyidaw, costruita negli ultimi anni della dittatura con il chiaro intento di rendere difficili assembramenti anti-governativi. Qui - dove vivono molti dipendenti statali - in mattinata la polizia ha usato gli idranti nel tentativo di disperdere la folla, mentre a Yangon e in altre città del Paese, le forze dell'ordine si sono limitate a impedire l'accesso ai palazzi del potere. In serata il capo delle forze armate, generale Min Aung Hlaing, è apparso in televisione per giustificare il golpe, di nuovo con la motivazione dei "brogli elettorali" nelle elezioni dello scorso novembre in cui ha trionfato la "Lega nazionale per la democrazia" di Aung San Suu Kyi, e annunciando nuove inchieste sulle presunte irregolarità.

Ma sono spiegazioni che non convinceranno una folla fatta in gran parte di giovani, che scendono in piazza in un'atmosfera di protesta gioiosa e con scritte, chiaramente ispirate a "meme" imparati in fretta nei pochi anni su Internet, che deridono il regime. Con l'accesso a Internet ormai ristabilito, per quanto le connessioni siano molto rallentate (forse anche per i picchi di utenti collegati per informarsi e condividere immagini delle proteste), nessuno sembra avere ormai paura di esprimere il proprio dissenso. Diversi negozi hanno inoltre iniziato a togliere dagli scaffali prodotti dei conglomerati dell'esercito, come la popolare Myanmar Beer. Il rischio è però che una popolazione giovane, senza memoria della repressione della "rivoluzione di zafferano" del 2007 e ancor meno del massacro che schiacciò le proteste pro-democrazia nel 1988, sottovaluti la determinazione di un esercito che si sente il garante indispensabile della stabilità nazionale e ha enormi interessi in ballo.

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