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Caos in Perù, in salvo gli italiani bloccati a Machu Picchu

Chiusa la cittadella inca. Proteste, scontri e 55 morti nel Paese sudamericano

Una visita alla cittadella inca di Machu Picchu, in un Perù in preda al caos, si è trasformata in un'imprevista emergenza per un gruppo di turisti italiani, rimasti bloccati per alcune ore nello storico sito dalla sospensione dei collegamenti ferroviari verso Cusco. Un gruppo di manifestanti, infatti, come già aveva fatto settimane fa, ha divelto i binari in più punti del percorso ferroviario costringendo la società Ferrocarril Transandino a bloccare i treni per intraprendere le necessarie riparazioni che sono state portate a termine in serata consentendo ai turisti di mettersi in viaggio verso Cusco.

Fra i connazionali che sono assistiti dalle autorità italiane, a quanto risulta, vi sarebbero anche dei cuochi, iscrittisi ad un tour culinario di otto località peruviane, di cui Machu Picchu era l'ultima tappa. Nel complesso i turisti che erano bloccati nella cittadella, che le autorità peruviane hanno deciso addirittura di chiudere, sono 430, di cui 300 stranieri. Gli italiani sarebbero alcune decine. Non è la prima volta che la mobilitazione antigovernativa, cominciata il 7 dicembre, coinvolge italiani in visita nel Paese andino. Il 14 dicembre ne erano erano stati segnalati 50 in difficoltà in varie località, fra cui quattro ragazze.

Dopo aver trascorso circa 36 ore a bordo di un autobus, le giovani erano state trasferite in un ostello e poi all'aeroporto di Cusco per il rientro in Italia. Intanto per le tensioni a Lima e in varie regioni del centro-sud è ancora muro contro muro. La chiesa cattolica ha lanciato un appello al dialogo caduto nel vuoto, mentre continuano gli scontri fra dimostranti e forze di sicurezza, che hanno un bilancio di 55 morti, oltre 1.200 feriti, e gravi danni materiali. Focolai di protesta sono attivi in almeno 12 delle 24 regioni del Perù, con particolare intensità a Puno, Cusco, Arequipa e Lima.

Negli ultimi giorni, oltre ad aver imposto quasi 100 blocchi stradali su tutto il territorio nazionale, i manifestanti hanno occupato vari centri minerari e cercato, senza successo, di occupare gli aeroporti di Cusco, Arequipa e Juliaca. Dal 19 gennaio la protesta si è trasferita nella capitale, dove decine di migliaia di dimostranti (molti di etnia quechua e aymara) partecipano ad una 'Toma di Lima' (Presa di Lima), denominata anche Marcia 'de los Cuatro Suyos'.

Le forze dell'ordine rispondono in generale all'azione dei manifestanti con gas lacrimogeni, ma anche con l'uso di armi di vario genere sparando, secondo organizzazioni di difesa dei diritti umani, anche ad alzo zero. A Lima negli incidenti sono scoppiati incendi, fra cui uno che ha distrutto uno storico edificio a pochi metri da Plaza San Martin, la 'Casa Marcionelli', acquistata il secolo scorso dallo svizzero Severino Marcionelli, che fu attivo nel settore minerario peruviano. E mentre la presidente Dina Boluarte, di cui i manifestanti chiedono le dimissioni, resta in silenzio, il ministro dell'Interno ha respinto le richieste della piazza denunciando che con queste proteste "si pretende di ricattare il governo di turno attraverso la violenza".

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