Le forze ribelli a guida islamica hanno annunciato nella notte la conquista di Damasco e la "fuga" del "tiranno" Bashar al-Assad, il presidente della Siria da un quarto di secolo al potere dopo averlo ereditato dal padre Hafez per 30 ai vertici del regime.
I residenti della capitale sono scesi in strada per festeggiare la caduta del regime dopo 50 anni di governo del partito Baath, mentre i gruppi ribelli annunciavano l'inizio di una "nuova era" in Siria. Il Paese si appresta così a scrivere una nuova pagina del libro della sua storia millenaria, mentre da Washington la Casa Bianca ha reso noto che "il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo team monitorano da vicino gli eventi straordinari" in Siria e "rimangono in costante contatto con i partner regionali".
Dopo il loro ingresso a Damasco, le forze di opposizione si sono dirette nel centro della città ed hanno preso il controllo dell'emittente radiotelevisiva pubblica. I ribelli hanno inoltre 'liberato' il vicino carcere militare di Sednaya, noto come il 'mattatoio umano', dove "le porte sono state aperte per migliaia di detenuti che sono stati imprigionati dall'apparato di sicurezza durante tutto il governo del regime", ha riferito l'Osservatorio siriano per i diritti umani.
La tv siriana, ma anche Bbc, Cnn e altri media hanno mostrato lunghi filmati della folla festante in piena notte a Damasco. La Cnn ha fatto vedere caroselli di moto e motorini i cui occupanti sventolano bandiere siriane, mentre da alcune zone del centro di Damasco, come nella piazza degli Omayyadi, nelle immagini della Bbc, dietro ai canti e alle urla della folla si sentono anche degli spari in aria, malgrado il leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) - la milizia che ha guidato la guerra-lampo al regime di Assad - Abu Mohammed al-Jolani (vero nome Ahmed al-Sharaa) avesse detto che "è vietato sparare in aria".
La folla festante a Damasco ha anche calpestato la statua abbattuta del padre di Bashar, Hafez Al Assad, che ha governato con il pugno di ferro per quasi 30 anni fino al 2000.
Intanto, il primo ministro siriano, Mohammed Ghazi Jalali, si è detto pronto a "tendere la mano" all'opposizione e a collaborare con la "leadership" che verrà scelta dal popolo, e in un'intervista con l'emittente Al Arabiya ha sostenuto che la Siria dovrebbe ora tenere "libere elezioni affinché il popolo possa scegliere chi debba guidarli".
Al-Jalali aveva già detto di avere contattato al-Jolani, con il quale si sarebbe accordato sulla transizione.
Lo stesso al-Jolani ha ordinato alle sue forze di non avvicinarsi alle istituzioni pubbliche di Damasco, "che rimarranno sotto la supervisione dell'ex primo ministro fino a quando non saranno ufficialmente consegnate", si legge in un post su X. Allo stesso tempo, l'esercito siriano e le forze di sicurezza del Paese hanno abbandonato l'aeroporto della capitale.
In precedenza, lo stesso al-Jolani aveva detto che le sue forze controllano l'intera città di Homs, definendo la vittoria "storica". "Stiamo vivendo gli ultimi momenti della liberazione della città di Homs, è un evento storico che distinguerà la verità dalla menzogna", ha detto il leader ribelle in un video postato su Telegram.
La presa di Damasco è avvenuta dopo una clamorosa e inaspettata marcia trionfale, cominciata solo 10 giorni fa dalla remota regione nord-occidentale di Idlib al confine con la Turchia, che ha travolto roccaforti governative, russe e iraniane come Aleppo e Hama. A Doha, in Qatar, intanto si è svolta l'attesa riunione cui hanno partecipato i ministri degli esteri di Russia, Iran e Turchia.
Nelle stesse ore, ma prima che il presidente eletto americano Donald Trump affermasse che non è interesse di Washington farsi coinvolgere nel conflitto siriano, si è riunito nella capitale sul Golfo il quartetto di Paesi occidentali molto vicini a Israele: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania. E secondo fonti presenti alla riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell'Ue e l'inviato speciale Onu per la Siria, Geir Pedersen, dall'incontro è emersa la volontà occidentale di avviare a Ginevra, la settimana prossima, un processo di transizione politica post-Assad che eviti nuovi spargimenti di sangue e allontani lo spettro del collasso dello Stato siriano (distinto dal regime) mettendo allo stesso tavolo tutte le parti coinvolte: gli esponenti del sistema-Assad ma non direttamente collusi col presidente e col fratello Maher (a capo della guardia dei pretoriani e considerato vicino agli iraniani) e gli esponenti dell'avanguardia dell'offensiva militare, il gruppo armato Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidato dal leader ed ex capo di al Qaida in Siria, Abu Muhammad al Jolani.
Nonostante Hts sia definito da anni un "gruppo terroristico" da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Unione Europea, in Svizzera potrebbero arrivare esponenti di sigle minori, ma di fatto legate a Jolani, così da non imbarazzare le cancellerie occidentali. Senza più il sostegno di Mosca, la struttura militare e politica della Siria degli Assad si è di fatto squagliata come neve al sole.
Gli ultimi sussulti di resistenza lungo l'asse Aleppo-Damasco si sono visti a Homs, crocevia del Paese e porta di accesso per la regione costiera, dove la Russia mantiene la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, entrambe sul Mediterraneo. E' la stessa regione in cui i transfughi del regime, molti dei quali appartenenti ai clan sciiti-alawiti originari della regione costiera, si stanno arroccando in attesa di un negoziato.
Sulla sorte del raìs, intanto, si riconcorrono le indiscrezioni che lo vedono tutte già fuori dalla Siria, in fuga, nonostante il suo ufficio abbia provato a smentire le voci, affermando che si trova ancora a Damasco. Secondo fonti informate alla Bloomberg sarebbe invece a Teheran, pronto a trattare anche per un esilio sicuro. "Non è in nessuna parte della capitale", hanno rilanciato anche alcuni media Usa, mentre qualcuno non esclude possa essere anche a Mosca.
Mosca e Teheran in ritirata, un duro colpo per Putin
"Soluzione politica e dialogo tra il governo siriano e la legittima opposizione". Gli alleati storici di Bashar Assad, nelle ore in cui la Siria alawita sta evaporando di fronte alla cavalcata dei ribelli, nascondono la loro debolezza dietro questa richiesta. La realtà mostra come l'Iran da un lato e la Russia dall'altro, questa volta difficilmente potranno salvare il loro principale partner nel Medio Oriente. Fiaccati dalle guerre e da economie in rapida caduta, Mosca e Teheran sono apparse prese alla sprovvista dall'avanzata Hayat Tahrir al-Sham, l'organizzazione islamica che sta guidando il rovesciamento del regime.
A Doha, nel pomeriggio, i ministri degli Esteri del cosiddetto formato Astana - Iran, Russia, Turchia, più l'inviato dell'Onu per la Siria Geir Pedersen - si sono incontrati in una riunione di emergenza a margine del Forum organizzato nella capitale qatarina. La riunione ha ribadito "la difesa dei principi di sovranità e integrità territoriale della Siria" sottolineando la necessità di un rapido ritorno alla stabilità.
"È inammissibile consentire a un gruppo terroristico di prendere il controllo del territorio in violazione degli accordi esistenti, a partire dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu", ha rimarcato il ministro degli Esteri russo Seghiei Lavrov. Il suo collega iraniano, Abbas Araghchi, ha invece sottolineato la necessità di "negoziati e dialogo" tra le parti. Nella giornata di venerdì, lo stesso Araghchi, aveva incontrato una delegazione del governo siriano a Baghdad, assicurando "stretto coordinamento" tra Damasco e Teheran.
Sul terreno, tuttavia, lo stato dell'arte racconta di una corsa contro il tempo per salvare Assad e della necessità di un intervento militare massiccio da parte dei suoi alleati che, tuttavia, finora non c'è stato. Solo Hezbollah, sebbene sia stata decapitata dalla guerra con Israele, ha annunciato l'invio di duemila uomini per difendere la città di Homs dai ribelli. L'Iran, finora, ha evitato di inviare "boots on the ground".
Parallelamente Mosca, dopo i primi i raid su Aleppo - che hanno provocato diverse vittime civili - sembra aver affievolito la sua azione sul terreno, sebbene Lavrov abbia assicurato anche da Doha "assistenza militare a Damasco".
Il ruolo della Russia è cruciale. Nel 2015, quando il destino di Assad appariva ai più segnato, l'intervento di Vladimir Putin fu decisivo. Attraverso massicci raid aerei e con l'invio di un arsenale militare all'alleato, la Russia riuscì a salvare il regime alawita, legato a Mosca sin dai tempi dagli anni ottanta, quando il partito baathista siriano guidato da Hafez Assad e il Pcus siglarono un trattato di amicizia. In quegli anni cominciava il rafforzamento della base militare russa a Tartus, città portuale della Siria. Il Paese mediorientale diventava così l'unico sbocco della Russia sul Mar Mediterraneo, facendo della base siriana un pilastro inamovibile della strategia militare del Cremlino.
La perdita di Tartus non sarebbe la sola conseguenza nefasta per Putin nel caso Assad sia rovesciato. L'arrivo dell'organizzazione Hts al potere cambiare lo stigma del potere religioso siriano, da sciita a sunnita, portando un potenziale vantaggio al grande avversario dell'Iran nella regione: l'Arabia Saudita. E Riad, già nel corso del primo mandato di Donald Trump, ha mostrato di essere una buona amica del presidente repubblicano.
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