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Trionfa l'opposizione in Thailandia ma è rebus governo

Al premier servirà l'appoggio del Senato nominato dall'esercito

Il conteggio dei voti è ancora in corso ma l'esito delle elezioni thailandesi appare chiaro: la popolazione ha detto un chiaro 'basta' al regime di Prayuth Chan-ocha nato dal golpe del 2014. I due principali partiti dell'opposizione sono stati i più votati, tanto da poter ottenere una maggioranza alla Camera se in coalizione tra loro. Tuttavia, contando che per formare un governo servirà avere l'appoggio di un Senato nominato dall'esercito, l'establishment conservatore monarchico potrà ancora dire la sua.

In serata era un testa a testa tra il Puea Thai dell'ex premier Thaksin Shinawatra, forte dei suoi tradizionali feudi nelle campagne nel nord, e il progressista Move Forward, che ha fatto breccia tra i giovani e va verso un quasi cappotto nei 33 seggi in palio nella capitale Bangkok. Nei 400 seggi della Camera assegnati col metodo maggioritario, i due partiti sono in virtuale pareggio con circa il 23% a testa; ma nel voto di lista, con cui si assegneranno i rimanenti 100 seggi, il Move Forward è in clamoroso vantaggio, con oltre il 31% delle preferenze.

Per la coalizione del governo uscente si profila invece una disfatta. Il terzo partito è il Bhumjaithai, che di quella alleanza faceva parte; il polo conservatore Palang Pracharat ha pagato cara la divisione tra il premier Prayuth, il cui nuovo partito è solo quinto nel conteggio, e il vicepremier uscente Prawit Wongsuwon, al momento quarto. Se dovessero accordarsi, e hanno già lanciato segnali di dialogo, il Move Forward e il Puea Thai riuscirebbero probabilmente a mettere insieme una maggioranza alla Camera. Ma per i risultati ufficiali bisognerà attendere giorni. Soprattutto, si prevedono settimane di negoziazioni dietro le quinte per i voti dei 250 senatori nominati dall'esercito, imprescindibili per arrivare all'elezione del premier a Camere riunite.

Già nel 2019 quei voti consentirono a Prayuth di costruire una coalizione con svariati partiti minori escludendo il Puea Thai, all'epoca primo partito. La volontà di riforme della popolazione è però ora talmente maggioritaria che escludere i due partiti più popolari sarebbe un clamoroso schiaffo alla democrazia, anche in un Paese dove disuguaglianze e soprusi dell'establishment sono tradizionalmente accolti con passività. Non va però sottovalutata la volontà di rimanere influente a ogni costo dell'élite monarchica abituata a comandare, che vede l'emergere del Move Forward come una minaccia esistenziale: il partito chiede infatti di limitare l'influenza dell'esercito e persino di riformare la legge di lesa maestà, usata per punire gli attivisti democratici in un Paese in cui il re è considerato semi-divino. Per uscire da questa contrapposizione tra due campi, potrebbe emergere anche un governo di coalizione ibrido.

Già in campagna elettorale si ventilava l'ipotesi di un accordo tra Thaksin e importanti esponenti del governo uscente (in particolare l'ex generale Prawit, grande manovratore del Senato), che permetterebbe all'ex premier di rientrare dall'auto-esilio senza passare dal carcere per scontare una condanna risalente al 2008. Per vent'anni è stato lui la nemesi dei conservatori, timorosi di essere rimpiazzati dal suo campo negli apparati di potere. Ma il fatto che tra le nuove generazioni e nella capitale spopoli il Move Forward, con le sue richieste radicali, potrebbe convincere l'élite che il 73enne Thaksin, tra i due, sia ormai il male minore.

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