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'Trump ignorò il suo entourage e lanciò la Grande bugia'

'Trump ignorò il suo entourage e lanciò la Grande bugia'

Non ascoltò nemmeno Ivanka, solo Giuliani. E Barr lo inchioda

WASHINGTON, 14 giugno 2022, 10:10

di Claudio Salvalaggio

ANSACheck

Audizione pubblica del comitato ristretto della Camera per indagare sull 'attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti © ANSA/EPA

Audizione pubblica del comitato ristretto della Camera per indagare sull 'attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti © ANSA/EPA
Audizione pubblica del comitato ristretto della Camera per indagare sull 'attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti © ANSA/EPA

Donald Trump ignorò ripetutamente il suo entourage (Ivanka compresa) che non credeva alle accuse di brogli e ascoltò il suo avvocato "ubriaco" Rudy Giuliani che gli suggerì di cantare vittoria durante lo spoglio elettorale, creando poi la 'Big lie': la grande menzogna sul voto rubato che animò l'assalto al Capitol da parte dei suoi sostenitori e che rappresenta ancora una minaccia.

E' quanto emerge dalla seconda udienza pubblica con cui la commissione parlamentare sul 6 gennaio sta illustrando i risultati della sua inchiesta sul ruolo del tycoon nell'attacco al Congresso per ribaltare l'esito delle presidenziali.

"Questa caccia alle streghe a senso unico è una vergogna per l'America. Non si sarebbe mai dovuto consentire che accadesse!", ha tuonato Trump sul suo social Truth, mentre il suo ex stratega Steve Bannon continua a chiamarlo "il presidente legittimo degli Stati Uniti" e minaccia di impeachment il ministro della Giustizia Merrick Garland ("quando riconquisteremo il Congresso a novembre") se incriminerà il tycoon. Come chiedono alcuni membri dem della commissione, scaldando la battaglia politico-giudiziaria in corso e sperando di impedire una ricandidatura di Trump per via giudiziaria.

La seconda udienza ha inferto un altro duro colpo all'ex presidente perché tramite testimoni repubblicani a lui un tempo vicini ha dimostrato il dolo con cui perseguì la sua trama fin dalla notte dell'election day. "Oggi vi racconteremo la storia di come Donald Trump, pur sapendo di aver perso le elezioni, decise di lanciare un attacco alla nostra democrazia e al popolo americano, tentando di rubare la vostra voce e accendendo la miccia che ha portato alle orribili violenze del 6 gennaio", ha esordito il presidente della commissione Bennie Thomson, accusando il tycoon di aver "supervisionato e guidato la cospirazione per ribaltare il voto e bloccare il trasferimento dei poteri, uno schema senza precedenti nella storia americana". "Il team legale della campagna di Trump sapeva che non c'era alcun argomento legittimo, alcuna frode, alcuna irregolarità o altro per ribaltare l'esito delle elezioni ma, nonostante questo, il presidente andò avanti col suo piano" in 7 punti, gli ha fatto eco la vice presidente della commissione Liz Cheney, repubblicana anti Trump che ha contestato al tycoon di aver "tradito i suoi supporter ingannandoli sul 6 gennaio e continuando a farlo".

Tutte accuse confermate dai testimoni, alcuni sono in video registrati: la notte dell'election day e nelle settimane successive Trump diede retta solo ad un Giuliani su di giri e non ascoltò gli inviti alla prudenza o le confutazioni delle accuse di brogli da parte di Ivanka, dell'ex campaign manager Bill Stepien (che si dimise convinto che quello che stava accadendo non fosse "necessariamente onesto o professionale"), del suo team di avvocati e neppure del ministro della Giustizia William Barr, la cui deposizione è stata devastante. L'attorney general ha descritto un presidente "staccato dalla realtà" che "non ha mai avuto interessi per i fatti" e al quale aveva ripetutamente detto che le accuse di brogli erano "false", "risibili", "infondate", una "cazzata". Del resto lo dimostrano i suoi 62 ricorsi, di cui 61 persi: la metà in fase procedurale, l'altra metà nel merito perché "le accuse non erano supportate da prove", come ha testimoniato Benjamin Ginsberg, avvocato repubblicano esperto di questioni elettorali che giocò un ruolo chiave nel riconteggio dei voti in Florida nella disputa elettorale Bush-Gore nel 2000. Dei giudici che hanno bocciato i ricorsi di Trump, peraltro, 10 erano stati nominati da lui e 22 da presidenti repubblicani, mentre tutti e tre i giudici della Corte suprema scelti dal tycoon hanno respinto le sue accuse. Alcuni procuratori e dirigenti elettorali ricevettero pure delle minacce per le loro decisioni, come successe in Georgia e in Pennsylvania.

L'udienza si è chiusa con spezzoni di interviste agli assalitori del Capitol, che ripetevano la "Big lie" di Trump sulle elezioni rubate, a conferma della manipolazione operata con le menzogne

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