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Odessa, città in trincea

Odessa, città in trincea

Il reportage dell'inviato Michele Esposito. Ascolta il podcast

22 marzo 2022, 23:14

dell'inviato Michele Esposito

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Una zona a ridosso del porto di Odessa - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una zona a ridosso del porto di Odessa - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una zona a ridosso del porto di Odessa - RIPRODUZIONE RISERVATA

"La senti? La nostra contraerea è la migliore". A due passi dal principale porto ucraino, laddove la scalinata Potemkin porta fin su alla statua del duca di Richelieu, decine di militari di guardia mostrano una certa sicurezza. Odessa, da qualche giorno a questa parte, si è trasformata in un fortino. Un fortino sott'attacco perché lì, nel mar Nero, le navi russe ci sono e si fanno sentire. Ed ecco che, in una giornata assolata rinfrescata dalla brezza, a fare da sottofondo è proprio la più efficiente contraerea ucraina. Il modo più sicuro per arrivare a Odessa dall'ovest del Paese è un treno notturno che parte ogni sera da Leopoli. Dodici ore attraverso settecento chilometri tra steppe e boschi senza foglie, costeggiando l'autoproclamata Repubblica di Transnistria fin giù al Mar Nero.

Il treno è semivuoto, l'atmosfera è ben diversa dai convogli che da Odessa evacuano ogni giorno migliaia di sfollati dall'Est. "Ma non chiamiamolo treno sbagliato, siamo tutti uniti in questa guerra", si affretta a dire Alexandr mentre fuma una sigaretta in equilibrio tra un vagone e l'altro, laddove le telecamere non possono arrivare. Il motivo per cui ha deciso di muoversi dalla 'sicura' Leopoli ad Odessa evita di dirlo. Possibile che, come tanti altri ragazzi seduti nelle cuccette semi-illuminane del treno, sia un volontario pronto ad andare al fronte. Nei convogli regna una relativa calma. C'è un unico ordine a dare il senso del contesto: tutte le tendine dei finestrini, di notte, vanno rigorosamente chiuse. "E' un modo per mimetizzarsi", spiega la capotreno con un sorriso sornione. Odessa, al mattino, è una città a metà.

I negozi aperti sono dimezzati rispetto alla normalità, così come la gente per strada. Cavalli di frisia e barricate di sacchi di sabbia anticipano l'ingresso nel cuore della città, gioiello di fine settecento di matrice borbonica. I sacchi portano il marchio della cosiddetta spiaggia dello Yacht Club, dove decine di volontari si affannano a svuotare di sabbia una delle baie più frequentate della costa di Odessa, a ridosso di quella che, da queste parti, chiamano la 'promenade della salute'. A coordinare i volontari c'è una giovane donna: "Nei giorni feriali mettiamo insieme circa 25mila sacchi al giorno, la media totale è di diecimila. Abbiamo iniziato il 26 febbraio, non ci siamo più fermati". Albert Kabakov due anni fa ha preso in gestione lo Yacht Club che è di proprietà del governo. Volevano distruggerlo per fare dei maxi-alberghi, gli ennesimi di una costa già martoriata. Albert, velista professionista, si è opposto e il governo regionale gli ha dato in prestito la bicicletta su cui pedalare.

"Dal 2014, quando la Russia ha occupato la Crimea, Odessa è l'unica città ad avere uno yacht club", spiega orgoglioso. E ora? "Ora Putin vuole distruggere tutto, non ha altro obiettivo". Odessa ne è consapevole e si difende. Anche perché, se a Nord-Ovest, non lontano, cadesse la trincea di Mykolaiv, la città dove fu composto 'O' sole mio' sarebbe presa a tenaglia dalla terra e dal mare. Nelle ultime ore gli attacchi dalle navi russe si sono intensificate. La contraerea ucraina è in eterna tensione, la sensazione è che l'esercito di Mosca voglia attaccare senza andare a fondo. Ma con il passare dei giorni la confusione aumenta, in una spirale di allarmi anti-aerei, colpi del sistema difensivo ucraino e notizie non confermate di sparatorie tra militari e "sabotatori" filo-russi. A tarda mattinata il canale telegram Odessa info annuncia che gli ucraini hanno abbattuto un missile cruise russo. I militari attorno al Teatro dell'Opera sorridono, soddisfatti. Nel centro storico blindato fanno passare solo giornalisti accreditati e residenti. C'è compostezza ed educazione. E qua e là si sente fioccare uno 'spasiba'. "Ma non significa grazie in russo?" "Si ma qui l'ucraino lo parlavano in pochi", ricorda David. Ed è solo uno dei tanti paradossi di questa guerra fratricida.

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