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Birmania: da inizio golpe 149 dimostranti uccisi

Lo denuncia l'Onu, almeno 59 morti domenica

    E' salito ad almeno 149 morti il macabro bilancio dei manifestanti uccisi in Birmania (Myanmar) dall'inizio delle proteste pacifiche contro il colpo di stato del primo febbraio. Lo ha denunciato oggi a Ginevra l'Alto commissariato Onu per i diritti umani, precisando che si tratta di un dato prudente. "Ci sono molte altre segnalazioni di ulteriori uccisioni che non siamo stati ancora in grado di confermare", ha detto la portavoce Ravina Shamdasani.

Un massacro di innocenti, il più grave dall'inizio delle proteste contro il golpe: almeno 59 morti domenica, con media locali che riferiscono di oltre un centinaio, e altri cinque morti ieri in altre due città del Paese. La Birmania è ormai in fiamme, con decine di migliaia di giovani che continuano a scendere nelle strade nonostante le forze di sicurezza sparino per uccidere da settimane, scioperi generali, la legge marziale nell'ex capitale e un nuovo stop al traffico internet per impedire al dissenso di organizzarsi.

    Il bilancio di ieri parla di almeno cinque ragazzi uccisi nelle città di Myingyan e Aunglan, il giorno dopo una domenica di guerra urbana a Yangon. Dopo che folle di manifestanti avevano attaccato 32 fabbriche legate alla Cina causando anche alcuni feriti, polizia e militari hanno cercato di disperdere la protesta sparando ad altezza d'uomo. Solo qui sono morte almeno 59 persone secondo fonti ospedaliere, e il regime ha dichiarato la legge marziale nei distretti dell'ex capitale teatro delle violenze di ieri. Media locali parlano però di un numero di morti doppio rispetto a quanto emerso.

Con un nuovo blocco del traffico internet sui telefonini applicato ieri, il rischio è che nuove stragi siano ancora meno documentate sui social media dagli stessi manifestanti. Il blocco alle connessioni è anche la ragione per cui la terza udienza del processo contro Suu Kyi, prevista per ieri a porte chiuse ma in teleconferenza, è stata rinviata al 24 marzo. Lo ha riferito lo stesso avvocato della Signora, contro la quale sono stati emessi quattro capi di imputazione, dal possesso illegale di walkie-talkie all'accusa di aver intascato pagamenti illegali.

Difficile capire se l'impossibilità di andare online è la vera ragione del rinvio o se il regime intende solo prendere tempo. Impossibile anche aspettarsi un'applicazione imparziale della giustizia - Suu Kyi è detenuta in isolamento e senza accesso al suo legale - in un processo chiaramente politico contro la leader che ha trionfato nelle uniche due elezioni libere nel fragile decennio di transizione verso la democrazia, ora stroncato dal golpe.
    A un mese e mezzo dal golpe, è ormai difficile capire quale possa essere la via d'uscita per una giunta militare che ha enormemente sottostimato il rigetto popolare della sua presa di potere e che non riesce a fermare le manifestazioni neanche sparando sulla folla. Le proteste sono il grido di disperazione di una generazione di giovani che stava crescendo assaporando per la prima volta le libertà democratiche, e che si ritrova ora in una brutale dittatura. Gli eventi di ieri mostrano anche come si sia diffusa la rabbia contro la Cina, che fin dall'inizio ha evitato di criticare i militari golpisti, proteggendoli anche all'Onu.

La stessa Pechino ha esortato oggi alla calma, dicendosi "molto preoccupata", ma con un tono che sembra prediligere i suoi interessi economici invece che i morti della repressione armata, e che è stato schernito sui social media dai birmani.

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