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Da Apple a Facebook, big web sfidano Trump in tribunale

Da Apple a Facebook, big web sfidano Trump in tribunale

Cresce fronte del no al bando. Tycoon attacca Nyt, solo falsita'

NEW YORK, 08 febbraio 2017, 18:34

Redazione ANSA

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DA APPLE A FACEBOOK, I BIG DEL WEB SFIDANO TRUMP IN TRIBUNALE - RIPRODUZIONE RISERVATA

DA APPLE A FACEBOOK, I BIG DEL WEB SFIDANO TRUMP IN TRIBUNALE - RIPRODUZIONE RISERVATA
DA APPLE A FACEBOOK, I BIG DEL WEB SFIDANO TRUMP IN TRIBUNALE - RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Ugo Caltagirone)

Donald Trump sempre piu' solo. Il fronte del no alla stretta sui musulmani cresce di ora in ora. In rivolta sono soprattutto le aziende della Silicon Valley, che hanno deciso di sfidare il presidente americano davanti a quei giudici che dovranno decidere se cancellare o meno il contestatissimo decreto. In 97 hanno firmato una memoria durissima sul provvedimento, da Apple a Facebook, da Google a Twitter. Ma tra i fermi oppositori del provvedimento ci sono pure ex segretari di stato come John Kerry e Madeleine Albright, o l'ex capo di Cia e Pentagono Leon Panetta. E centinaia di ricercatori e docenti universitari, senza contare le associazioni per la difesa dei diritti civili. Tuonano anche i gesuiti: "E' un attacco ai valori cristiani". Mentre lo speaker della Camera britannica, John Bercow, ha confermato la sua opposizione ad un intervento del tycoon in Parlamento durante la sua visita nel Regno Unito.
    Il New York Times racconta così di una Casa Bianca dove aumenta la frustrazione per il caotico avvio della presidenza Trump, e dove si starebbe seriamente valutando un generale ripensamento dell'approccio fin qui adottato, spesso troppo improntato sull'improvvisazione. Con il tycoon furioso per non essere stato messo pienamente al corrente dei contenuti e delle conseguenze di alcuni dei provvedimenti che si apprestava a firmare, compreso quello che assegna al suo capo stratega Steve Bannon un posto nel Consiglio per la sicurezza nazionale. Una ricostruzione respinta fermamente da Trump, che su Twitter ha accusato il quotidiano newyorchese di falsita': "Scrive cose non vere su di me, inventano storie e fonti".
    L'ennesimo scontro con i media, dunque, mentre tutti gli occhi sono puntati sulla corte d'appello federale del nono circuito, con sede a San Francisco, considerata la piu' liberale del Paese. Sono i suoi giudici che hanno 'congelato' il decreto, confermando per ora la decisione della corte distrettuale di Seattle. Nelle prossime ore e' attesa una loro decisione finale, che entrambe le parti potranno però impugnare davanti alla Corte Suprema. Una Corte che pero' - fino a che non sara' confermata la nomina del nuovo giudice scelto da Trump - e' spaccata a meta'. Risultato: in caso di pareggio resterà in vigore la sentenza dalla Corte d'appello californiana.
    Sul tavolo di quest'ultima il documento firmato da tutti i big del web, compresi Microsoft, Intel, Uber, Airbnb, Snapchat.
    Hanno messo nero su bianco la ferma opposizione al 'muslim ban', definendolo "illegale e incostituzionale". Un ordine esecutivo che - a loro dire - se confermato scatenerebbe "un nuovo caos".
    Per questo esprimono il massimo sostegno allo sforzo degli stati di Washington e del Minnesota promotori della causa contro il decreto.
    Anche per un gruppo di almeno dieci ex alti responsabili dell'amministrazione americana il decreto Trump - scrivono in un loro documento presentato ai giudici - "non può essere giustificato in termini di sicurezza nazionale e di politica estera". E' un provvedimento - aggiungono - che "distrugge migliaia di vite, incluse quelle di rifugiati e di titolari di visti che sono stati sottoposti a controlli estremi". Tra i firmatari oltre a Kerry, Albright e Panetta anche l'ex consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Susan Rice e l'ex direttore della Cia Michael Hayden. Intanto nel corso di una telefonata con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg Trump ha ribadito il fermo impegno degli Usa, dando appuntamento al prossimo vertice dei leader dell'Alleanza di fine maggio. Ma parlando in Florida ha poi ribadito: "Gli alleati devono pagare il giusto".
   

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