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Bruxelles: il terrorista, non sempre uno psicopatico

Bruxelles: il terrorista, non sempre uno psicopatico

In una tesi di laurea il profilo criminale dei "combattenti"

28 marzo 2016, 16:55

di Enzo Quaratino

ANSACheck

 Il terrorista è sempre uno psicopatico? "Direi di no. Nel tracciare il profilo del terrorista e nell'esaminare i principali aspetti del fenomeno si può esprimere un ragionevole dubbio circa l'influenza e l'incisività di disturbi psicopatologici e della personalità nel determinare la scelta terroristica". E' quanto dice Alessandro Bilancia, un giovane di Potenza autore di una recentissima tesi di laurea in Medicina Legale dal titolo "Il terrorista: aspetti psicopatologici forensi e criminologici", relatore il prof. Antonello Crisci, con la quale ha conseguito alcuni giorni fa la laurea magistrale in Giurisprudenza all'Università di Salerno. "Ciò non vuol dire - spiega Bilancia, illustrando il suo studio - che non vi possano essere nelle fila delle organizzazioni soggetti instabili, la cui azione violenta è in parte o del tutto determinata da una condizione di infermità mentale. Ma l'analisi statistica, condotta con rigoroso metodo scientifico, porta ad escludere solo un'interferenza di natura psichiatrica nell'adesione al terrorismo e nell'azione violenta o suicidaria".

E' pur vero - aggiunge il neolaureato - che un recente rapporto dell'Europol specifica che il 20% dei foreign fighters ha ricevuto una diagnosi di patologie psichiatriche o disturbi della personalità, "ma non appare chiaro quale sia il genere di disturbo più comune, né appare provata la correlazione con la violenza o la vulnerabilità del soggetto rispetto alla radicalizzazione e al processo di coinvolgimento". Anche la psichiatria forense - spiega Bilancia - "non riconosce più come dato costante un legame fra genetica e comportamento aggressivo, ma gli studiosi propendono per l'analisi, caso per caso, dei fattori socio-culturali che, affiancandosi a quelli biologici rilevati dalle neuroscienze, possono determinare l'azione violenta, potendo essere questa, anche nello psicopatico, solo eventuale". Inoltre anche la teoria dei "quattro tipi di terrorista" dello psicologo Raymond H. Hamden - terrorista psicotico; religioso; politico; per vendetta (Retributional Terrorist) - evidenzia come "la psicopatia è trattata quale una delle varie cause del terrorismo.

E a proposito del terrorismo suicida, alla luce anche dei dati relativi all'esperienza del conflitto israeliano-palestinese, sembrano prevalere la disperazione e il desiderio di vendetta (che, come sottolinea lo studioso, sono tipici del "Retributional Terrorist") e non, dunque, una patologia psichiatrica conclamata". In definitiva, dunque, la ricerca per giungere ad un profilo netto del terrorista è ancora del tutto aperta, "e attribuire alla figura del terrorista, politico o religioso, l'instabilità mentale come tratto costante appare arbitrario quanto ritenere unico denominatore del fenomeno le precarie condizioni economiche e la carenza di istruzione, tenuto conto che sono molti i militanti benestanti e istruiti". Tuttavia, una volta delineato il profilo del terrorista - dice Bilancia - resta ugualmente complesso valutare come sia possibile prevenire il terrorismo. "Un percorso significativo - dice il neodottore nella tesi - potrebbe essere quello di anticipare i fattori della radicalizzazione, eliminandoli. Tale istanza passa attraverso un ripensamento delle politiche di integrazione, che potrebbe concretizzarsi ad esempio nel ridimensionamento delle grosse aree urbane (o quartieri ghetto) presenti, a volte, anche nel centro delle metropoli europee dove, secondo illustri, urbanisti come Stefano Boeri, si coltivano i fattori della radicalizzazione e gli immigrati di seconda e terza generazione soffrono la crisi di identità che scaturisce dalla dualità del mondo in cui si svolge la loro vita sociale: gli usi, i costumi e la quotidianità della popolazione del 'quartiere' e il resto della società cittadina".

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