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Kayla, 26 anni e il sogno di aiutare chi soffre

Kayla, 26 anni e il sogno di aiutare chi soffre

La cooperante Usa rapita nel 2013, data per morta dall'Isis

ROMA, 07 febbraio 2015, 09:41

Redazione ANSA

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Kayla Jean Mueller © ANSA/AP

Kayla Jean Mueller © ANSA/AP
Kayla Jean Mueller © ANSA/AP

"Sono solidale con il popolo siriano, rifiuto la brutalità e gli omicidi che le autorità siriane stanno commettendo contro i siriani, perché il silenzio significa esserne complici". Era il 2011 quando Kayla Jean Mueller aderì con un video alla campagna su youtube 'Syrian sit-in' in favore del popolo siriano, lasciando percepire quel desiderio che due anni dopo l'avrebbe portata in Turchia e Siria ad aiutare gli altri.

Volontaria per l'ong 'Support to Life', 26 anni, originaria di Prescott in Arizona, Kayla è stata rapita dai jihadisti in Siria nell'agosto 2013 insieme a un gruppo di altri cooperanti, che sarebbero poi stati rilasciati. Il suo nome non era mai stato divulgato dalle autorità americane per non mettere a rischio la sua incolumità. E' stato l'Isis a diffonderlo oggi annunciando la morte di Kayla sotto le bombe giordane.

Una sua foto con alle spalle lo stendardo del Kiwanis Club di Prescott compare in un'intervista del 31 maggio 2013 del The Daily Courier, in cui la ragazza racconta la sua esperienza nei campi profughi in Turchia. "Finché avrò vita - diceva Kayla - non permetterò che questa sofferenza diventi qualcosa di normale, qualcosa che accettiamo e basta. E' importante fermarsi e capire quanto siamo privilegiati. E quindi cominciare ad agire".

Per la sua liberazione, l'Isis ha chiesto oltre sei milioni di dollari, ma Washington ha sempre mantenuto ferma la politica di non pagare il riscatto degli ostaggi, avvertendo anche le famiglie e i parenti degli americani detenuti in Siria o altrove che, se cedessero alle richieste dei terroristi, potrebbero essere perseguiti penalmente. Solo pochi giorni fa il presidente americano Barack Obama aveva assicurato - in un'intervista alla Nbc - il massimo impegno per riportarla a casa.

Durante i mesi della sua prigionia, l'Isis non ha mai pubblicato un video con Kayla, come fatto invece con altri ostaggi occidentali - uomini - poi uccisi. Non che i jihadisti non abbiano ucciso donne: le cronache dall'Iraq e dalla Siria raccontano di quotidiane violenze, torture, stupri e uccisioni di donne, musulmane o yazide. Ma mai di ostaggi donne. E anche oggi, l'Isis non ha rivendicato l'uccisione di Kayla, ma puntato il dito contro contro le bombe della Coalizione.

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